Agricoltori roerini esasperati per i danni causati dai cinghiali

Agricoltori roerini esasperati per i danni causati dai cinghiali

CERESOLE/MONTEU ROERO Trovare nuovi equilibri fra l’agricoltura e la presenza di ungulati. Lo chiedono gli agricoltori di alcuni paesi roerini, alle prese con la conta dei danni, dopo le prime semine del mais. Mauro Maina, a Ceresole, alleva 400 mucche da latte: «Non facciamo in tempo a seminare che i cinghiali passano e mangiano tutta la semenza. Per proteggere il nostro lavoro le abbiamo provate tutte, dai cannoni a gas al recinto elettrificato. Nei giorni scorsi ne abbiamo costruito uno per dieci ettari, ma a volte non basta». L’unica alternativa per i fondi colpiti è eseguire di nuovo le operazioni di semina.
Prosegue Maina: «Solo per le sementi spendiamo 100 euro a giornata. A questi ne dobbiamo aggiungere altri 50 fra diserbante e concimi. Considerando che lo facciamo due volte, il totale è di 300 euro a giornata. A questi costi si sommano ancora gli affitti, fra i 150 e i 200 euro». Il tutto, aggiunge l’agricoltore, a fronte di un guadagno di 350 euro. «Di questo passo, tra un paio di anni smetteremo di coltivare i campi». Il problema però non sono soltanto le perdite economiche. Il raccolto delle duecento giornate seminate è destinato al consumo in azienda per produrre latte. Conclude Maina: «Senza mais non riusciamo a mantenere le mucche e acquistarlo sarebbe insostenibile. Converrebbe piuttosto vendere gli animali».

A Ceresole opera anche Antonio Ferrero, allevatore di capi di razza piemontese. «Anche se piantiamo di nuovo, la produttività degli appezzamenti si riduce: dai 40 quintali a giornata scendiamo a 25. Se si semina a giugno, non si possono più scegliere varietà a lento sviluppo». Per difendere il raccolto gli agricoltori si sono organizzati. Spiega Ferrero: «Mio fratello ha seguito un corso e ha ottenuto il patentino da tutor. Significa che può abbattere gli ungulati nei fondi di nostra proprietà e in questo modo riusciamo a contenere i danni. Se ottiene l’assenso può anche operare su terreni di altri agricoltori. Gli telefonano in media tre persone al giorno, alcuni addirittura da Alba». La soluzione è, secondo l’agricoltore, rivedere il sistema degli abbattimenti, «cambiando le norme che stabiliscono zone fisse per le squadre di cacciatori. In questo modo i cacciatori hanno tutto l’interesse ad abbattere soltanto i capi maschi e non le femmine e garantirsi così nuovi capi da uccidere, il tutto per poi rivendere la carne a dieci euro il chilo. Soltanto nell’ambito territoriale di caccia del Roero siamo sui duecento capi abbattuti. Il calcolo del guadagno è presto fatto, anche solo con una media di trenta chili di carne per ogni cinghiale. Impostata così, l’attività venatoria per qualcuno è un affare». La direzione che l’allevatore roerino indica è quella di: «liberalizzare le zone, come in montagna. Se diverse squadre operassero sullo stesso territorio, fenomeni come questi non esisterebbero».

L’ultima voce arriva da Monteu Roero, dove Federico Gagliardi gestisce con il padre un allevamento di polli. «Stiamo per partire con la terza semina. Siamo in mezzo ai boschi e l’animale selvatico fa parte del gioco, ma così è troppo. Sino a qualche anno fa i danni si limitavano a qualche fila di piante, non a campi interi. L’alternativa sono i recinti, ma ogni 10 giornate di terre sono 1.500 euro di costi per il materiale e noi seminiamo quasi 80 giornate l’anno».

Davide Gallesio

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