
STORIA Negli ultimi cento anni i papi, da Benedetto XV fino a Francesco, hanno sentito il desiderio di celebrare Dante Alighieri esaltandone alcuni aspetti legati al tempo e alla loro sensibilità.
Benedetto XV riferendosi al poeta lo chiama «il nostro Alighieri»: Dante congiunge l’amore per la natura all’amore per la religione, conforma la sua mente ai precetti desunti dalla fede cattolica, nutre l’animo con umanità e giustizia. La Commedia ha come fine ultimo il «glorificare la giustizia e la provvidenza di Dio, che governa il mondo nel tempo e nell’eternità». Dante insegna quanto sia importante per ogni cristiano conoscere e accettare la Bibbia. Nel De monarchia scrive: «Sebbene gli scrivani della divina parola siano molti, tuttavia il solo che detta è Dio, il quale si è degnato di esprimerci il suo messaggio di bontà attraverso le penne di molti»; nel Convivio: «Il Vecchio e il Nuovo Testamento contengono insegnamenti spirituali che trascendono la ragione umana». Anche se è molto critico verso alcuni pontefici, sottolinea l’importanza della cattedra di Pietro, definendo la Chiesa come «madre piissima» e «sposa del Crocifisso»; Pietro è «giudice infallibile della verità rivelata da Dio, cui è dovuta da tutti assoluta sottomissione in materia di fede e di comportamento ai fini della salvezza eterna».
Paolo VI definirà Dante «signore dell’altissimo canto», facendo emergere l’universalità del poema, appartenente per i contenuti a tutte le genti «ovvero ecumenico», degno di studio e ascolto in tutti i continenti. Un poeta della fede, in tensione d’amore a Cristo, innamorato della Chiesa ma sincero nella critica. Ma solo chi penetra nell’anima religiosa del fiorentino può comprendere le sue meravigliose ricchezze spirituali. La Commedia, «tempio di sapienza e d’amore», allora è un viaggio «pratico e trasformante»: non è solo bella e moralmente buona, ma in grado di cambiare l’uomo che la percorre portandolo dal disordine alla saggezza, dal buio a quella luce fiammante d’amore: «Luce intellettual, piena d’amore, Amor di vero ben, pien di letizia, letizia che trascende ogni dolzore» (Paradiso, canto XXX, 40-42).
Attento maestro della pace, attuale come non mai in un mondo in cui la si fatica a trovare, certo che solo attraverso essa l’uomo può compiere la sua opera e sentirsi «di poco inferiore agli angeli» (De monarchia). L’Inferno è la cantica della pace perduta per sempre, il Purgatorio di quella sperata e il Paradiso di quella eternamente posseduta. Dante è il poeta del miglioramento sociale alla conquista di una libertà che è franchigia dall’asservimento al male: ci induce ad amare Dio valorizzandone i doni nella storia e nella vita.
Giovanni Paolo II dell’Alighieri esalta il genio artistico: la forza del pensiero teologico del poeta è trasfigurata dallo splendore dell’arte e della poesia. Il Papa polacco apprezza lo sforzo di fare in modo che «il peso dell’umano non distruggesse il divino che è in noi, né la grandezza del divino annullasse il valore dell’umano», così da poter leggere in chiave teologica la propria vicenda personale e quella dell’umanità. Benedetto XVI è affascinato da «l’amor che move il sole e l’altre stelle» (Paradiso, canto XXXIII, 145), amore e luce che nel Dio cantato da Dante sono una cosa sola: il Cristo. Il poeta con delicatezza di canto affresca un Dio «col volto e col cuore umano», descrivendo la vera novità dell’amore: un Dio che assume carne e sangue.
E Ratzinger esaltando questo amore definisce quello che chiama l’eros di Dio, che «non è soltanto la forza cosmica primordiale; è l’amore che ha creato l’uomo e si china verso di lui, come si è chinato il buon Samaritano verso l’uomo ferito e derubato, giacente al margine della strada che scendeva da Gerusalemme a Gerico».
Arrivando ai nostri giorni, papa Francesco ci offre, in occasione dei settecento anni dalla nascita di Dante, la lettera apostolica Candor lucis aeternae (Edizioni San Paolo), nella quale emergono i temi attuali che ritroviamo nel suo magistero. La vita di Dante è paradigma della condizione umana che vive una parte di umanità in continuo esilio, in un pellegrinaggio doloroso e umiliante: «Tu lascerai ogne cosa diletta più caramente; e questo è quello strale che l’arco de lo essilio pria saetta. Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e ’l salir per l’altrui scale». Dante è profeta di speranza con l’esplicita missione di «mettere in moto un cammino di liberazione da ogni forma di miseria e di degrado umano», dove il traguardo è la felicità sia come pienezza di vita nella storia sia come beatitudine eterna in Dio. Il poeta ben sa che nel cuore di ogni
uomo è radicato il desiderio di verità per trovare riposo e pace in Dio. Dante poeta della misericordia di Dio, che offre sempre la possibilità di convertirsi, e della libertà: nella Commedia si mostra come l’essere umano può sempre scegliere quale via seguire e quale sorte meritare.
Dante fa delle donne principali del suo viaggio figure delle virtù teologali: Maria della carità, Beatrice della speranza e santa Lucia della fede. Francesco chiude la lettera invitandoci a riflettere come Dante non va solo letto, commentato, studiato e analizzato, ma anche ascoltato, imitato, diventando suoi compagni di viaggio perché ci indichi l’itinerario verso la felicità, superando le selve oscure in cui perdiamo orientamento e dignità: la Commedia, dice Francesco, «ci rimanda alle radici cristiane dell’Europa e dell’Occidente, rappresenta il patrimonio di ideali e di valori che anche oggi la Chiesa e la società civile propongono come base della convivenza umana, in cui possiamo e dobbiamo riconoscerci tutti fratelli».
Walter Colombo
