Come le viti, potiamo il superfluo per fruttificare

PENSIERO PER DOMENICA – QUINTA DI PASQUA – 2 MAGGIO

Nel Vangelo di questa V domenica di Pasqua (Gv 15,1-8) ci viene riproposta una delle immagini-simbolo del nostro rapporto con Gesù: «Io sono la vite, voi i tralci». La nostra relazione di amore con Gesù è ciò che ci dà vita e che ci permette di portare frutto. Infatti la relazione è vita: questa verità che abbiamo prima vissuto, poi scoperto fin da bambini ci è stata ricordata dalla pandemia che, quasi di colpo, ha troncato molte nostre relazioni. Ciò che ci lega a Gesù è una fede-fiducia in lui.

Come le viti, potiamo il superfluo per fruttificare
Cristo dalle cui mani partono dei tralci, di Lorenzo Lotto, chiesa Sante Barbara e Brigida a Trescore (Bg).

La relazione è fonte di fiducia per portare frutti nella vita. Per questo è la caratteristica principale di una fede adulta. Se il bambino ha un bisogno estremo del legame fisico con la madre, il giovane e l’adulto necessitano di un legame con le persone fatto essenzialmente di fiducia. Sentire questo clima attorno a noi è ciò che ci permette e ci stimola a dare il meglio. Succede nello studio, nel lavoro, nelle relazioni di amicizia, nello sport e anche nella vita di fede. San Giovanni nella sua lettera (1Gv 3,18-24) ci dice che noi possiamo arrivare a «dimorare in Dio»: il legame con Gesù ci offre la stessa sicurezza di una casa accogliente.

La fiducia ci fa accettare anche le ferite della vita. Nella simbologia della vite e dei tralci un ruolo importante ha la potatura. Chi ha una cultura contadina sa che una potatura intelligente è la condizione essenziale perché la vite porti frutto. Questa immagine potrebbe fornirci una chiave di lettura un po’ meno pessimistica dell’esperienza della pandemia che abbiamo vissuto e che ancora ci condiziona: se dal nostro stile di vita abbiamo tagliato via i tralci in eccesso, salvando le gemme fruttifere potrà aprirsi una nuova stagione, ricca di nuovi frutti.

La fiducia non è facile da conquistare. Ne ha fatto le prove Paolo. Come leggiamo negli Atti (9,26-31) dopo la conversione non fu certo accolto a braccia aperte dalle comunità cristiane: il suo passato di persecutore era difficile da cancellare. Il sostegno e la garanzia di Barnaba riuscirono per un po’ a vincere la paura, ma presto tornarono diffidenza e sospetto: Paolo fu costretto a fuggire prima a Cesarea e poi a Tarso. Noi sappiamo che anni dopo, al rientro a Gerusalemme dopo il terzo viaggio missionario, nonostante avesse portato il Vangelo fino in Grecia, Paolo sarà ancora il bersaglio di una sollevazione popolare per ucciderlo. La “pace” di cui parla Luca nella conclusione del brano era molto, molto precaria. Anche all’interno della comunità cristiana primitiva!

Lidia e Battista Galvagno

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