Il San Lazzaro diventa ospedale di comunità

ALBA Venti posti letto ciascuno, per offrire una soluzione ai pazienti autosufficienti che hanno ancora bisogno di essere assistiti, ma che non necessitano dell’ospedale vero e proprio: nei piani dell’Asl Cn2 è anche questo il futuro degli ex nosocomi di Alba e Bra. L’occasione è offerta dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, che alla misura 6 prevede una serie di stanziamenti per sviluppare la medicina territoriale, la carenza che si è palesata in tutta la sua evidenza nel corso della pandemia da Covid-19.
Si pensa cioè d’intervenire con una rete di case di comunità – la nuova dicitura per indicare le case della salute – intese come strutture che offrono prestazioni ambulatoriali, esami e altri servizi non residenziali. Oltre a questo, si prevede l’avvio di veri e propri ospedali di comunità, come l’azienda sanitaria vorrebbe avviare al San Lazzaro e al Santo Spirito.

Casa della salute all’ex San Lazzaro: ecco i primi passi
L’ex ospedale San Lazzaro di Alba.

Il tema è emerso la scorsa settimana in occasione del precongresso dei pensionati Cisl cuneesi, che ha toccato anche Alba, tra le varie tappe provinciali. Come ospiti, sono intervenuti il direttore dell’Asl Cn2 Massimo Veglio, il segretario regionale della Cisl funzione pubblica Alessandro Bertaina e Luciano Bertolusso, segretario provinciale della federazione italiana dei medici di base. Al centro, il rapporto tra ospedale e territorio, asset fondamentale per garantire una sanità vicina ai cittadini. Ha spiegato Veglio: «Nei giorni scorsi, come richiesto alla Regione, abbiamo presentato la nostra proposta riguardo ai fondi del Pnrr. Ci siamo attenuti ai parametri richiesti, con la previsione di un ospedale di comunità ogni 100mila abitanti e di una casa di comunità ogni 50mila. Nel nostro territorio, è stato naturale pensare alla riconversione del San Lazzaro e del Santo Spirito, che nei nostri piani saranno sia case che ospedali di comunità, vista la disponibilità di spazi e le loro collocazioni ideali in ambito cittadino». Veglio è entrato anche nel merito: «Il Piano nazionale di ripresa e resilienza li immagina come soluzioni temporanee per chi è autosufficiente, non può restare al domicilio per svariati motivi, ma allo stesso tempo non necessita dell’assistenza di una struttura ospedaliere vera e propria. Per esempio, pazienti dimessi dopo un intervento, malati che presentano una riacutizzazione di malattie croniche o altre situazioni di questo tipo».

Un modello analogo a quello dei Cavs, insomma, le strutture di continuità assistenziale a valenza sanitaria: due sono quelle già attive nell’Asl Cn2, a Canale e al centro riabilitazione Ferrero. «In questo modo, si amplierebbero i posti, senza chiudere le strutture preesistenti, ma creando letti di assistenza di cui c’è bisogno», ha spiegato Veglio.

Per quanto riguarda le attuali case della salute, a oggi nella Cn2 sono sei le strutture attive con questa funzione: ad Alba, Bra, Santo Stefano Belbo, Cortemilia, Montà e Canale.

«Nell’ambito del Pnrr, si prevedono finanziamenti solo per 4 strutture, che evolveranno in case della comunità, ma le manterremo tutte in ogni caso», assicura però il direttore generale dell’Asl Cn2. A questo punto, sarà quindi compito della Regione approvare la proposta dell’azienda sanitaria entro fine anno, il termine entro il quale la Giunta Cirio dovrà presentare a Roma la programmazione piemontese. Lo stesso vale per le proposte delle altre Asl: rimanendo in provincia, la Cn1 ha ipotizzato la realizzazione di 11 case di comunità e di 3 ospedali di comunità. A livello generale, con riferimento al Pnrr, alla sanità piemontese dovrebbero essere destinati 536 milioni di euro, con l’obiettivo di dare vita in totale a 90 case di comunità e 27 ospedali in comunità.

Francesca Pinaffo

«Purché non restino scatole vuote per via della carenza di personale»

Il Pnrr porterà una pioggia di euro per migliorare i servizi sanitari territoriali. Ma, come hanno concordato tutti gli ospiti dell’incontro organizzato ad Alba dai pensionati Cisl, sarà un contributo una tantum, che non potrà risolvere un nodo cruciale: la carenza di personale, in tutti gli ambiti, dagli infermieri ai medici di famiglia. Il primo a confermarlo è stato il direttore dell’Asl Cn2 Massimo Veglio: «Durante i momenti più drammatici della pandemia, la risposta del sistema è stata buona, grazie all’impegno di tutti. Ma l’emergenza ha fatto emergere la grave carenza di personale sanitario.

È innegabile la mancanza d’infermieri e operatori sociosanitari, per questi ultimi anche a causa di un sistema regionale che vieta i corsi a pagamento e che limita quelli gratuiti con una serie di clausole. Senza dimenticare la progressiva diminuzione di giovani che scelgono questa strada.

La situazione ideale sarebbe la presenza di 8 infermieri ogni 50mila abitanti. «Alla Cn2 abbiamo bisogno di 27 infermieri: se pensiamo alle future case e ospedali di comunità, mi chiedo come nei prossimi anni si potranno reperire queste figure», ha insistito Veglio. Il medico di base Luciano Bertolusso: «Vent’anni di tagli non hanno certo garantito il diritto alla salute. Quando mi sono laureato, nel 1984, sono diventati medici altri 900 colleghi. Considerando che nel 2024 saremo tutti in pensione, c’è da chiedersi come si potranno coprire i posti lasciati vuoti, se oggi si laureano tra 250 e 300 sanitari ogni anno». La scorsa settimana la Regione Piemonte ha derogato in via provvisoria al tetto di 1.500 assistiti per medico di base, passando a 1.800.

f.p.

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