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Damkura: la grande famiglia di David e Robert tra i nomadi

Damkura: la grande famiglia di David e Robert tra i nomadi 5

QUARESIMA SOLIDALE Damkura è un centro abitato a venti minuti dalla stazione centrale di Rajshahi e il centro commerciale e abitativo di un’estesa regione dove vivono i nomadi Mahali, oggi semisedentari. Essi sono costruttori di cestini e di una ricca oggettistica prodotta con lamelle di bambù e si spostano in piccoli gruppi di due o tre famiglie per supplire al fabbisogno delle famiglie nei piccoli villaggi.

La maggior parte di questi tribali hanno accolto il cristianesimo e sono una preziosa testimonianza nella Chiesa locale. Due fratelli, David e Robert che, pur nella povertà più disagevole hanno concluso l’università, ora si dedicano a tempo pieno al loro gruppo tribale: della scuola, della salute e della catechesi. Il loro padre era catechista e oggi lo sono anche i due figli.

Con loro sono nate le prime scuole mobili in Bangladesh e, quando gli alunni raggiunsero l’età della scuola superiore, i due fratelli cominciarono a prepararli alla maturità, con un corso intensivo di tre mesi residenziali. Nei primi anni li ospitavano nella loro stessa casa in terra battuta, mentre oggi, in una costruzione apposita di due piani, possono ospitare in regime residenziale almeno un centinaio di giovani Mahali, ragazzi e ragazze. Le famiglie dei parenti, ma non solo, quando hanno problemi di salute vanno a bussare alla loro porta, certi di ottenere una visita medica, medicinali e anche qualche intervento chirurgico negli ospedali di Rajshahi.

Essi, secondo il costume tribale, fin quando hanno soldi in casa li spendono volentieri per questa famiglia estesa. E non si limitano a dare un aiuto economico, ma li accolgono in casa loro, prima di un’eventuale visita dal medico o per una convalescenza di alcuni giorni dopo un intervento chirurgico, per farli rientrare a casa ben risistemati.

Nella loro casa che, come ho già detto, è in terra battuta, ma molto spaziosa, hanno pure adottato altri 10 bambini, la maggior parte orfani o senza più una famiglia solida. La scorsa settimana, a Calcutta, due bambini dello stesso gruppo tribale, di cinque e sette anni, senza alcun altro parente in India, sono rimasti orfani di padre e madre nel giro di un mese. I due fratelli si sono attivati per accoglierli, in pochi giorni hanno risolto tutti i problemi burocratici e i bambini sono arrivati ad abbellire la già numerosa famiglia a Damkura. Una parente, malata mentale, rimasta isolata, ha pure trovato un posto a casa loro come tutti gli altri membri della famiglia.

David (direttore esecutivo della Pastorale dei nomadi in Bangladesh) e fratello maggiore di Robert, nel 2019 ricevette il premio “Dhonnobad Sir” (premio della gratitudine) per essersi distinto nell’area dell’educazione. Era il decimo anniversario del giornale nazionale del Governo e, in una festa per l’occasione con 23mila invitati, David ricevette il prestigioso premio dalle mani della prima ministra Asina e da altri otto ministri.

 don Renato Rosso

La fortuna di avere amici generosi

Nell’ultima lettera circolare avevo già parlato di alcuni malati che cercavamo di aiutare: Masum con otto calcoli renali; Bidu con un ictus; la mamma di Abdullah che necessitava di un intervento all’intestino, mentre a Suscanto dovevano praticare l’angioplastica per dilatare due arterie quasi otturate e poi procedere a operarla per un brutto tumore alla tiroide (questi ultimi due interventi sono stati effettuati, pare con successo).

Riguardo a un papà di trent’anni, sempre nell’ultima lettera, avevo domandato: «Ma voi vi sentireste di dire a questo giovane papà: “Muori in pace perché le tue operazioni costano troppo e con questi soldi si potrebbero curare una ventina di malati?”. Se io fossi stato al suo posto sarei invece stato contento di sentirmi dire da qualcuno: “Stai tranquillo, piuttosto andiamo a rubare, ma le operazioni te le faremo fare”. Io poi ho la fortuna che non devo nemmeno andare a rubare, perché ho tanti amici, che sono la più grande preziosità che esista al mondo». In ultimo chiedo di pregare perché il nuovo progetto (vedi sotto) possa alleviare la sofferenza di tanti malati.  r.r.

Qui nessuno va dal medico: in bimbo con fratture era destinato a fare lo storpio tutta la vita

Dallo scorso anno sta nascendo un nuovo progetto che ci infonde molta speranza. C’è un numero indefinito di villaggi distanti da Damkura, anche a due o tre ore di motocicletta su strada brutta o sterrata. Uno dei gravi problemi di quei luoghi impervi è la mancanza totale di un qualche presidio sanitario. Là non arrivano medici, né infermieri, né medicine, ma soprattutto, nella mentalità comune manca la minima nozione di prevenzione e cura, ovvero l’idea che una visita medica, una medicina o un intervento chirurgico possano portare beneficio ed eventualmente permettere qualche decina di anni di vita in più.

Io non conoscevo quella realtà: dove arrivano i gruppi di zingari, generalmente arriva con loro almeno la medicina popolare. Alla fine dello scorso anno, con Robert avevo visitato alcuni di quegli sfortunati villaggi e ne ero rimasto molto impressionato. Il primo caso in cui ci imbattemmo fu quello di un giovane, un trentenne accasciato su sé stesso, visibilmente malato. Interpellato, disse che da un mese e mezzo non riusciva a ingerire nulla e quando tentava di mangiare qualcosa, lo vomitava immediatamente. All’altezza dello stomaco sembrava avere una massa che bloccava tutto e, per giunta, il dolore non lo lasciava. Alla domanda: «Cos’ha detto il medico?», mi ha sorpreso dicendo che dal medico non era mai andato e non sembrava nemmeno preoccupato per quello. Non domandò se avevamo qualche medicina o se potevamo fare qualcosa per lui. Probabilmente sapeva che doveva aspettare o la guarigione spontanea o la morte.

Una signora vicino a lui, per scuoterci dal nostro stupore, ci mostrò una protuberanza che le era cresciuta sotto l’ascella e ci disse che aveva quel problema almeno da due anni, con un disturbo quasi continuo. Confessò che anche lei non aveva mai pensato di andare da un medico e soggiunse: «Cosa potrei fare? I medici qui non vengono, per andare in un ospedale ci vogliono soldi e noi dove li prendiamo?».

Damkura: la grande famiglia di David e Robert tra i nomadi

Quel giorno Robert e io abbiamo raccolto tutte le informazioni possibili sui due casi per parlarne con il medico al nostro ritorno. Il giorno seguente siamo tornati per prelevare quei due sfortunati e portarli all’ospedale per una prima visita e qualche esame, affinché il medico potesse rendersi conto di che cosa si poteva fare. Nei giorni seguenti una sorpresa dopo l’altra ci fece pensare che bisognava pur fare qualcosa. Un bambino di una decina di anni era caduto, fratturandosi un piede e un ginocchio. Lo avevano fasciato ben stretto e coricato là su un pagliericcio a gridare e forse ad aspettare che le ossa si sistemassero e che rimanesse disabile per tutta la vita. In quel caso era chiaro che bisognava accompagnarlo subito in ospedale per un’ingessatura, cosa che abbiamo risolto quella sera stessa. Abbiamo poi incontrato un ragazzo di 19 anni che, in seguito a un incidente in cui aveva già perso una gamba, è rimasto a letto per due anni aspettando di amputare anche l’altra, poiché, a detta di un medico, non era più recuperabile.

Perché ha aspettato tanto? Perché per farsi tagliare una gamba ci vogliono soldi e lui non li aveva. Io sono stato con Robert solo all’inizio, ma ora lui gestirà a tempo pieno il progetto con il fratello David: entrambi sono miei preziosi collaboratori da oltre vent’anni. Due giorni fa ho avuto una delle tante belle notizie che Robert giornalmente condivide con me. Una signora gravida, aveva avuto delle perdite di sangue quindici giorni prima del parto e continuava ad avere dolore. Robert interpellò telefonicamente il medico, che disse di portarla subito in ospedale perché poteva essere molto grave. Immediatamente ricoverata, con il taglio cesareo è stato salvato il bambino che, a detta del medico, avrebbe quasi sicuramente perso.

Uno dei primi lavori che abbiamo cercato di fare è stato di selezionare alcuni medici bravi, ma specialmente onesti. Si sono resi disponibili un ortopedico e tre medici generici, che alla sera, arrivando dai villaggi, potranno essere interpellati, ma che già durante la giornata possono essere consultati per i casi più gravi.

Venerdì scorso c’è stato un minicampo medico vicino a Beniduar, dove sono arrivate una quindicina di persone. Robert ha parlato loro di alcune precauzioni da prendere riguardo all’igiene, specialmente in questo periodo di Covid-19.

In seguito, ciascuno ha esposto il suo problema. Alcuni avevano solo bisogno di uno sciroppo per la tosse o di qualche pomata, ma quattro di loro, con problemi abbastanza seri, prima che terminasse quell’incontro, hanno potuto parlare via Internet con un medico che si trovava a Rajshahi e che aveva dato la sua disponibilità per sentirli (ovviamente, non in tutti i villaggi c’è la possibilità di una connessione Internet e in quei casi si usa solo il telefono). Tre di questi sono tornati con Robert a Damkura dove hanno passato la notte a casa sua per poi, al sabato mattina, essere accompagnati da Robert stesso all’ospedale.

r.r.

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