Gli allevamenti di Piemontese riducono i capi: costi di produzione insostenibili

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CIA CUNEO Il futuro del comparto bovino non è per nulla facile e l’attuale situazione può solo portare alla chiusura delle stalle. A dirlo è Cia Cuneo con Silvio Chionetti, vicedirettore e responsabile dell’area tecnica provinciale dell’organizzazione agricola: «Gli allevatori di Piemontese stanno riducendo i capi per i costi insostenibili di produzione». La Piemontese è la razza bovina da carne autoctona più diffusa in Italia: le stalle sono 4.150, concentrate per il 60 per cento nella provincia di Cuneo e le rimanenti soprattutto in quelle di Torino, Asti e Alessandria. Da alcuni mesi, con gli aumenti delle materie prime, in particolare cereali e foraggi che servono a preparare l’alimentazione di qualità degli animali, e i rincari dell’energia, per la gestione delle aziende, i costi di produzione degli allevatori superavano gli incassi ottenuti dalla vendita dei capi.

Prosegue Chionetti: «La situazione sta peggiorando ancora, perché i prezzi del gasolio agricolo nelle ultime settimane sono ulteriormente aumentati così come quelli dei mezzi tecnici e delle materie prime. Poi, la siccità sta incidendo in modo pesante sulla minore produzione dei foraggi necessari ad alimentari i bovini ogni giorno e sullo stoccaggio delle riserve invernali. Inoltre, c’è una contrazione dei consumi, perché le persone, nell’attuale condizione economica, hanno sempre meno soldi da spendere».

Quindi quali prospettive ha il settore? «Al momento si può intravedere un futuro per nulla facile con conseguenze già piuttosto critiche. Infatti, qualche azienda sta ripensando all’impostazione degli allevamenti con la riduzione dei capi in stalla e la vendita anche di quelli non ancora pronti per il macello. Se non hai materie prime autoprodotte sufficienti ad alimentare gli animali e devi comprarle sul mercato puoi solo lavorare in forte perdita. Gli sgravi fiscali sul gasolio agricolo sono stati previsti fino a marzo: bisognerebbe prorogarli anche per i mesi successivi. Servirebbero dei crediti di imposta. E poi c’è bisogno di una forte campagna di sensibilizzazione al consumo della carne di qualità italiana di origine autoctona e locale».

Lorenzo Germano

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