Il gorgo di Fenoglio e Pavese: intervista a Demetrio Paolin

Il gorgo di Fenoglio e Pavese: intervista a Demetrio Paolin
Una foto d'archivio di Demetrio Paolin e Andrea Bosca

CANELLI Inizia con un endecasillabo, «Nostro padre si decise per il gorgo», uno dei racconti più fulminanti di Beppe Fenoglio sulla vita contadina delle Langhe, dove un padre disperato per le sventure dei figli – Eugenio mandato a combattere in Abissinia e una ragazza malata e inguaribile – decide di tentare il suicidio gettandosi nel Belbo. Con pochi tratti lo scrittore dipinge un quadro di povertà e sconforto attraverso gli occhi di un giovane narratore che, capendo l’intenzione del gesto estremo, cerca di dissuadere il padre. Questo testo, insieme a racconti come Ferragosto e Un giorno di fuoco, sarà al centro della serata di martedì 5 luglio, alle 21, che si terrà all’Osteria dei meravigliati (enoteca di Canelli) dedicata allo scrittore albese. L’incontro, organizzato da Memoria viva e dalla biblioteca Monticone, avrà per protagonista lo scrittore, già finalista al premio Strega nel 2016, e critico del Corriere della sera Demetrio Paolin, accompagnato dal cantautore Mauro Carrero. La serata sarà condotta da Sara Riccabone, mentre Diego Ghilotti leggerà i testi fenogliani.

Il gorgo di Fenoglio e Pavese: intervista a Demetrio Paolin 1
Il critico e scrittore Demetrio Paolin

Paolin, che cosa l’ha colpita di questo racconto?

«Negli anni si è giustamente affermato il Fenoglio partigiano, perciò ho voluto dare un taglio diverso, altrettanto interessante e non meno complesso, puntando sul lato più verista dello scrittore, quasi neorealista, anche se il suo lavoro sulla lingua è diverso. Nei racconti che leggeremo ci sono temi ricorrenti come la paternità e la violenza, che sono propri anche degli eroi dubbiosi dei testi resistenziali. L’idea è quella di far collidere Fenoglio con Pavese, visto che entrambi usano la parola «gorgo»: Fenoglio nel breve racconto omonimo e Pavese nella poesia Verrà la morte e avrà i tuoi occhi».

Crede che ci sia un punto d’incontro tra i due?

«Ci sono punti in comune tra i due autori, anche se fanno scelte stilistiche differenti. Il tema del suicidio è raccontato da Pavese, mentre Fenoglio lo accenna nel Gorgo, dove emerge una violenza latente. Se ci togliamo dalla tensione biografica con cui si legge Pavese, il gorgo è qualcosa che pietrifica entrambi gli scrittori: a volte diventa violenza verso di sé, in altri casi sfocia verso gli altri, ma c’è comunque un buio che attira e porta giù. Si tratta di una tensione condivisa, proprio come l’orizzonte geografico. Se prendiamo i personaggi, sia Milton che Anguilla hanno a che fare con insicurezze, paure o paternità che hanno un fondo comune».

Per gli scrittori di oggi possono essere ancora modelli?

Colpiscono ancora per il loro atteggiamento linguistico e il lavoro sullo stile, che avviene in maniera consapevole, spesso tramite lettere e articoli: è qualcosa di moderno che non ha nulla a che fare con il “pesantore” di Gadda, che trovo artefatto nel linguaggio. Entrambi sono molto lucidi nel leggere la storia del loro tempo, con la giusta complessità, oggi poco di moda tra gli storici. Credo inoltre che Fenoglio abbia dato input importanti per gli scrittori contemporanei: non è un caso che Sandro Veronesi citi esplicitamente Il gorgo nel suo Colibrì. Sono contento di questo centenario perché contribuisce a gettare luce sulle radici di Fenoglio, che sono più profonde di quanto vediamo, e sui lati dimenticati.

Lorenzo Germano

Banner Gazzetta d'Alba