Moni Ovadia: l’uomo forte, illusione italiana (INTERVISTA)

Moni Ovadia: l'uomo forte, illusione italiana (INTERVISTA)
Moni Ovadia © Fabrizio Zani

L’INTERVISTA Questa sera, martedì 25 ottobre alle 21, il teatro Sociale inaugura la stagione con Il duce delinquente, tratto da Mussolini il capobanda di Aldo Cazzullo. Il giornalista dividerà il palco con Moni Ovadia e la musicista Giovanna Famulari. Il duce delinquente scardina alcuni luoghi comuni sulla figura del capo del fascismo, in particolare l’idea che, fino all’alleanza con Hitler, non avesse agito male.

Ovadia, che tipo di spettacolo dobbiamo aspettarci?

«È un recital che mette in luce quanto Mussolini fosse, oltre che dittatore criminale, un uomo squallido. Aldo, sulla scena, si rivela un narratore di grande valore. La sua voce ripercorrerà tutta la vicenda mussoliniana, mentre io leggerò documenti e lettere e canterò alcune canzoni del periodo, di propaganda e popolari. Mi accompagnerà una grande musicista come Giovanna. Vedremo la figura del duce intrecciarsi con gli atti ufficiali. Lo facciamo in un momento in cui c’è bisogno di ricordare sì la storia, ma anche la memoria: è necessario che certi fenomeni non si ripetano. Noi italiani corriamo sempre gravi pericoli, perché siamo molto legati alla figura dell’uomo forte che dice di voler risolvere tutti i problemi».

Chi sarebbe, adesso, l’uomo forte?

«L’ultimo, di un certo potere, è stato Berlusconi: per vent’anni ha tenuto in scacco la politica italiana. C’è stato il cosiddetto “Governo dei migliori” e sotto la sua guida i poveri sono triplicati. Meloni è politicamente capace, ma ha un orizzonte ideale lontano da me. Partiti come Fratelli d’Italia capisci bene cosa sono, mentre il Pd si erge a portatore della grande civiltà democratica pur essendo soltanto preso dai suoi affari: se è un partito di sinistra, allora io sono il Papa. I 5 stelle, liberatisi di alcuni elementi, almeno ora parlano di un salario minimo garantito. In generale, sono stanco di questa politica, diventata un mestiere per gente incapace».

Lei, ebreo, è critico con Israele e le comunità ebraiche.

«Israele, nei confronti dei palestinesi, ha violato tutte le risoluzioni internazionali possibili, ha occupato illegalmente dei territori colonizzandoli. Ormai, essendoci circa 700mila coloni, credo sia tardi per la soluzione dei due Stati. Appoggio lo Stato binazionale, in cui israeliani e palestinesi abbiano gli stessi diritti. Con le comunità ebraiche italiane sono in pessime relazioni, le reputo mediocri, opportuniste e appiattite sui Governi israeliani. Non sono credente ma ero nella comunità perché mi sento appartenente alla cultura: ora ne sono uscito. Per le giornate della cultura ebraica mi chiamano mai, pur essendo, credo, l’ebreo più famoso d’Italia insieme a Gad Lerner».

Lei molto ha spesso parlato di un umorismo ebraico.

«Prima di far ridere, fa pensare, attraverso un bagliore paradossale che illumina una via d’uscita dai problemi. Poi è autodelatorio, si ride di sé stessi. Ciò ha permesso all’ebreo di affrontare drammi inverosimili e non farsi sopraffare dagli orrori subiti. Ha influenzato tutto il teatro occidentale, soprattutto negli Stati Uniti. La maggior parte dei comici della stand up sono ebrei e hanno aiutato altri popoli a uscire dall’oppressione, proprio per la loro capacità autoironica. Ciò aiuta a osservare i conflitti da un’altra prospettiva. Le barzellette, poi… Un vecchio ebreo che parlava yiddish mi diceva: “La so già, ma la racconto meglio”».  

Davide Barile

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