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Dal buio verso la luce, il sacerdote di Leopoli Volodymyr a Gazzetta

Dal buio verso la luce, il sacerdote di Leopoli Volodymyr a Gazzetta
Da sinistra il vescovo di Alba Marco Brunetti, il direttore di Gazzetta Giusto Truglia e il prete di Leopoli Volodymyr Moshchych

L’INTERVISTA Le sirene tornano a suonare, i rifugi si affollano e si accendono le candele. Leopoli, città dell’Ucraina occidentale il cui centro storico è stato riconosciuto patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 1998, martedì 15 novembre è rimasta al buio. Non si tratta di un normale blackout, i responsabili sono i missili russi che hanno colpito le infrastrutture energetiche.

La situazione in Ucraina resta delicata, si continua per questo a cercare aiuti e sostegni. L’Italia, come molti altri Paesi del centro Europa, ha fatto sentire in questi mesi la sua vicinanza ed è qua che è tornato il sacerdote di Leopoli Volodymyr Moshchych, accompagnato dal vescovo di Alba monsignor Marco Brunetti per ringraziare e dialogare con le associazioni locali in vista degli aiuti futuri.

In questa occasione abbiamo avuto il piacere di poter dialogare con lui.

Qual è il motivo di questa sua visita ad Alba?

«Sono qui anche per visitare tutti i volontari che da Torino, in questi mesi, hanno mandato aiuti umanitari nella mia città. Sono due in particolare le organizzazioni torinesi: Paideia e Pausacafè, che con i volontari si sono recati dieci volte nel mio Paese. Il Pane della pace è il nuovo progetto di Pausacafè. Con il grano dall’Ucraina produrranno il pane nel carcere di Alessandria. In seguito verrà venduto nei supermercati Coop e parte del ricavato sarà utilizzato per finanziare progetti nelle zone di guerra. Tornerò a casa con alcuni dei pacchi donati da Alba e Torino con cui aiuterò i profughi che sono arrivati a Leopoli dalle altre zone della guerra e che abbiamo ospitato nelle nostre parrocchie. Ci occupiamo di portare aiuto anche ai molti bambini profughi arrivati da Donetsk e Luhans’k che abbiamo accolto nelle case vicine alla mia comunità».

Dopo i missili russi, qual è la situazione a Leopoli?

«Leopoli è lontana dalla guerra, ma con alcuni attacchi abbiamo iniziato ad averne maggiore percezione anche noi. La gente ha paura, ma alcuni profughi qua si sentono al sicuro. Siamo partiti con un pulmino mercoledì dopo gli attacchi. Eravamo completamente al buio e in un’ora siamo arrivati fuori dalla città. Tutti gli uomini sono mobilitati e non possono uscire dai confini del Paese. Sono potuto partire esclusivamente grazie al permesso concesso dal Governo. Appena ho avuto la notizia ho subito pensato di approfittarne per venire ad Alba e Torino e raccogliere gli aiuti umanitari. Per arrivare in Italia abbiamo attraversato Ungheria e Slovenia, è stato un viaggio ricco di significati, un percorso dal buio alla luce. Sono arrivato fin qua, da voi che per il mio Paese rappresentate la luce. Ora la situazione si è in parte ristabilita, la corrente, dopo due giorni, è tornata in tutta la città, seppur non in modo continuativo. Difficile dire quale sia lo scopo dei missili russi, probabilmente servono per far paura, per far scappare la gente verso l’Europa centrale creando talvolta malumore, anche se tutti i Paesi circostanti si sono dimostrati disponibili ad aiutare. Questa è certamente una guerra contro la nostra nazione e contro la nostra cultura, la lingua e la bandiera, vogliono eliminare tutto ciò che è ucraino. Credo che sia un attacco preparato e programmato da tempo».

Che futuro si immagina per la sua città?

«Nel futuro vedo la mia città come la più bella dell’Ucraina occidentale. Giovane, vivace, con molti studenti, ma anche centro spirituale con le sue tante chiese. Una città capace di trasmettere la cultura europea. Io la vedo ricostruita come il resto del Paese, ma soprattutto la vedo con la bandiera ucraina. I tanti profughi fuggiti aspettano e sperano di poter tornare e ricostruire la nostra patria. A guerra finita credo che ci sarà la volontà di rinnovare e ricominciare».

Gli ucraini si rifugiano nella fede

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La situazione religiosa ucraina non è meno complessa, ma con Volodymyr Moshchych l’abbiamo analizzata più da vicino.

Si tratta di uno scontro anche di tipo religioso? Quali sono i rapporti tra gli uomini di Chiesa e qual è il ruolo delle istituzioni religiose ?

«La situazione religiosa è molto complessa. In Ucraina ci sono alcune grandi Chiese, c’è quella ortodossa di rito bizantino del patriarcato di Kiev, la Chiesa greco-cattolica di cui faccio parte io, quella cattolica di rito latino e la Chiesa ortodossa del patriarcato di Mosca. In quest’ultima sono stati scoperti alcuni sacerdoti e monaci che collaboravano con il Governo russo dando informazioni sulla situazione ucraina, diventando uno strumento nelle loro mani. La loro è una Chiesa statale, mentre in Ucraina la situazione è diversa, c’è maggiore separazione tra le due realtà di Stato e Chiesa. Come uomini di religione non abbiamo cercato la mediazione o il dialogo, perché sono questioni che riguardano più il piano politico».

In questo difficile contesto, quale ruolo ha la fede? Ne uscirà più rafforzata?

«La preghiera per la pace non è mai cessata, la gente prega e va in chiesa allo stesso modo di prima. Le preghiere sono principalmente per i militari, perché quasi ogni famiglia ha un figlio, un nipote o un cugino che è partito per combattere i russi. In ogni occasione si prega per l’esercito. La popolazione si è unita e ripone la sua fiducia nei militari, ma al secondo posto credo ci sia la Chiesa. Per la fede è un periodo complesso, sta affrontando una grande sfida. Le persone si chiedono dov’è Dio, emergono molti dubbi, ho ascoltato confessioni pesanti e si fanno i conti con grossi problemi e difficoltà».

Nella pratica di cosa vi occupate?

«I preti hanno in questo conflitto un ruolo importante, ci sono numerosi cappellani e preti diocesani greco-cattolici dell’arcidiocesi di Leopoli tra le fila dei militari. Monaci e sacerdoti delle nostre parrocchie sono andati all’estero oppure nelle zone di guerra per portare aiuto e sostegno spirituale. Quasi ogni settimana facciamo due o tre funerali di soldati provenienti dalle aree del conflitto in una chiesa dove ci sono i cappellani militari. Vedere le molte bare ricoperte con la nostra bandiera suscita emozioni forti. Sono momenti che fanno riflettere molto la gente».

C’è un messaggio particolare che vorrebbe lanciare?

«Durante il viaggio ho ascoltato la radio italiana e ho pensato che quello che vorrei chiedere è di non smettere di parlare della nostra guerra, di continuare a sensibilizzare la gente e di aiutare il nostro popolo. Non dobbiamo dimenticare che questa è una guerra combattuta in Europa contro i valori europei. Chi ha visto Leopoli o Kiev sa che sono delle città moderne, dove si vive esattamente come da voi in Italia. Chiedo a tutti di pregare e sostenere il nostro popolo. Ci sono piccoli e significativi gesti di solidarietà che per noi vogliono dire tanto. Il mio è un viaggio breve, devo tornare tra la mia gente per ricordarle che non è da sola».

Il cappellano che aiuta chi fugge dal conflitto

CHI È Volodymyr Moshchych è il cappellano ospedaliero attivo nella struttura pediatrica regionale di Leopoli Ohmatdyt. Il sacerdote della chiesa greco-cattolica, nei mesi di guerra, si sta occupando di aiutare i profughi che fuggono dal conflitto. A Roma ha conosciuto, durante gli studi, il vescovo di Alba Marco Brunetti.

 Elisa Rossanino

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