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I vizi dell’arte negli articoli di Ugo Nespolo

Grande successo della mostra di Ugo Nespolo in Banca d’Alba 2
L'artista Ugo Nespolo all'inaugurazione della mostra Inno alla gioia, allestita nel 2019 ad Alba

L’INTERVISTA Uscirà in libreria a inizio anno Vizi d’arte, ultimo libro (in ordine di tempo) di Ugo Nespolo. Pittura, cinema e scultura sono gli ambiti in cui opera maggiormente: le sue creazioni hanno ricevuto riconoscimenti in tutto il mondo. E a esse affianca la scrittura. Le 312 pagine di Vizi d’arte raccolgono gli articoli usciti dal 2017 in avanti, apparsi prevalentemente sulle pagine culturali del Foglio. Il legame di Nespolo con Alba è particolare. Grande amico di Giulio Parusso, è socio onorario dell’associazione che porta il nome dello storico scomparso nel 2014. Lo è per volere del presidente Roberto Ponzio, altra sua amicizia granitica. «Senz’altro, nei prossimi mesi, verrò a presentare il libro al palazzo Banca d’Alba», dice l’artista nato a Mosso (Biella) nel 1941.

La prefazione è a cura dello scrittore argentino Alberto Manguel: «Egli non supporta il proprio lavoro con il testo: la scrittura è un altro dei suoi mezzi, non un tentativo di rispecchiamento delle immagini. Quando etichetta le sue stesse rappresentazioni, le trasforma o le sovverte. Quando ne discute, passa dal lato opposto della tela e si rivolge all’altro sé stesso. La sua lettura è sorprendente, non solo nell’ambito della storia dell’arte, come era prevedibile, ma anche nel campo della narrativa».

Nella postfazione, il critico d’arte Sandro Parmiggiani aggiunge: «I testi di Ugo Nespolo raccolti in questo libro ci aiutano a navigare nel vasto mare dell’arte senza farci incantare dai fari che, invece di illuminare, abbagliano e confondono i naviganti sulla rotta da tenere; occorre, invece, andare a riscoprire il valore di ciò che magari oggi s’annida nell’oblio e nel silenzio, nella nebbia e nell’ombra».

Nespolo, quali sono i principali argomenti che sono trattati nel volume?

«Riprendo in parte quanto detto in Per non morire d’arte. Narro questo mondo al di fuori dell’estetica e di ciò che affermano i critici o i collezionisti. Si possono ritrovare spunti filosofici e, in numerosi scritti, parlo di artisti valorizzati meno di quel che dovrebbero. Il settore dell’arte ha la memoria corta: è specialista nel dimenticare. Ecco, in futuro mi piacerebbe scrivere un libro dal nome I dimenticati».

Può fare qualche esempio?

«Ci sono artisti valorizzati poco e altri per niente. Spesso la celebrazione di nomi di dubbio valore è legata alla necessità di far aumentare i prezzi nelle aste. C’è, in molti, la convinzione che le cose care siano di maggior pregio. Invece non è così, esiste un intero mondo sommerso, di cui noi vediamo solo la punta dell’iceberg. Penso alla pittura dell’Ottocento: fino a trent’anni fa ricercatissima, oggi completamente dimenticata. Addirittura, chi ha un quadro di tale periodo in casa non sa cosa farsene, se non regalarlo. A parte il futurismo, tutto il Novecento, da Casorati in avanti, non è ricordato come dovrebbe».

La sua non finisce per essere una sorta di battaglia contro i mulini a vento?

«Le risponderò con un estratto dalla quarta di copertina di Vizi d’arte, che definisce il libro “sogno fragile, donchisciottismo ingenuo, illusione che in un attimo ci proietta in quella confusa wasteland popolata di figuranti interessati, artefatti senza teoria, assordanti silenzi d’artista, asfissia mercantile”».

Cosa fare per vedere una luce in fondo al tunnel?

«Consiglio innanzitutto di non fidarsi troppo dei prezzi di mercato. E, poi, occorre fare in modo che l’arte possa essere sempre più diffusa. Forse è un’utopia, ma ritengo non debba essere solo un decoro inutile, ma un elemento importante della società. Non deve esistere arte di serie A e arte di serie B, le opere devono essere diffuse il più possibile, per far sì che la gente si appassioni. La scuola, purtroppo, insegna quasi niente. Poi mi piacerebbe che l’arte tornasse a schierarsi contro e smettesse di essere servile. Ad Alba, con il situazionismo di Pinot Gallizio, sotto questo punto di vista, ci fu un grande esempio».

Davide Barile

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