
ALBA Pinot Gallizio, ad Alba, oggi è evocato nel nome del liceo artistico, in quello del campo nomadi che è stato lui a fondare e in una via in zona Moretta. Nella sua casa – in via XX settembre, pieno centro –, non ci sono tracce di lui: la cantina in cui ha impresso colori materici su tela e le stanze in cui ha vissuto sono esposte in vendita o in affitto. «Ideali per studi professionali, ristoranti o enoteche», si legge nella vetrina di uno studio di progettazione.
Per incontrare davvero Gallizio, è chiaro che bisogna spostarsi altrove: in sala Beppe Fenoglio, se si ha la fortuna di trovarla aperta, dove le due pareti laterali accolgono le Fabbriche del vento, grandi tele datate 1963. Sono arrivate da Torino ad Alba nel 2014, custodite in imponenti imballaggi. Ora c’è chi chiede agli uffici comunali di tirare fuori dai magazzini cassoni e protezioni, perché ai primi di settembre le tele potrebbero tornare «a casa».
Perché l’Archivio Gallizio vuole ritirare le opere

Liliana Dematteis, presidente dell’archivio Gallizio, usa proprio quest’espressione. Per lei, che dell’artista è stata la gallerista e che da sempre si impegna per valorizzarne l’opera non è Alba il luogo in cui le due opere sono al sicuro. Le ha concesse in comodato d’uso al Comune, un contratto che scadrà all’inizio di settembre.
A Gazzetta d’Alba, l’autunno scorso, la gallerista aveva già annunciato l’intenzione di riprendersi non solo le tele in questione, ma tutto ciò che le appartiene e che è presente sotto le torri. Oggi non sembra aver cambiato idea: «Nella città in cui è nato e vissuto, non sembra esserci spazio per Gallizio. Mi rincuorano i tanti giovani, anche albesi, che spesso si rivolgono a noi per fare ricerca su di lui. Per il resto, come archivio ormai siamo molto distanti da Alba».
Le Fabbriche del vento potrebbero finire in un museo francese che si è dimostrato interessato. «Mi sto già informando per identificare un luogo adatto ad accoglierle come meritano: anche a Torino non sono tanti gli spazi adatti per opere così grandi. In ogni caso, non possiamo accettare che diventino un semplice sfondo, peraltro maltrattato».
Opere usate come sfondo
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’immagine dei pannelli della Fiera del tartufo appoggiati sulle due tele. Ancora prima, a dire il vero, la scoperta della chiusura alle visite dello spazio Gallizio, al secondo piano del centro studi Beppe Fenoglio, a due passi dal duomo. Fino al 2021, risultava fruibile. In seguito, la porta d’ingresso è quasi sempre rimasta chiusa.

In passato, Dematteis aveva collaborato con l’ente. Ai tempi in cui Giulio Parusso era presidente, gli aveva donato la libreria di casa Gallizio con tutti i libri, così come L’anticamera della morte. Altri oggetti minori erano affidati in conto deposito al Centro: la gallerista ha già provveduto a ritirarli nei mesi scorsi. «Potrebbero anche cancellare dalle insegne il rimando a Gallizio, a questo punto: se uno spazio espositivo è chiuso, non può essere considerato tale. Vorrei saperne le ragioni, ma è chiaro che non è il modo che noi riteniamo adeguato per valorizzare un artista».
Il Museo Gallizio con i fondi del Pnrr
A pochi passi dal Centro studi, c’è casa Miroglio: l’Amministrazione di Carlo Bo, con i fondi del Piano nazionale di ripresa e di resilienza, ha deciso di trasformarla in un museo dedicato proprio a Gallizio. Per Dematteis, un altro elemento di rottura: «Sono stata coinvolta solo in un primissimo momento. Poi soltanto il silenzio; al momento non ho intenzione di concedere opere. Poco importa: è un museo pensato con una visione superata». Nel frattempo, prosegue il restauro de La notte etrusca, grande rotolo di tela esposto nell’androne del teatro Sociale, fino allo scorso anno. Anche in questo caso di proprietà di Dematteis, è stata lei a decidere di ritirarlo, dopo averne valutato le condizioni tramite gli esperti dell’archivio: «Purtroppo il sole ha danneggiato non poco la tela. Eppure avevamo chiesto al Comune di posizionare una protezione». Ora, al posto dei colori situazionisti, c’è una parete bianca.

In questo scenario, esiste uno spiraglio di apertura? La gallerista parla chiaro: «Potrei non ritirare Le fabbriche del vento e tornare a collaborare con Alba, ma solo in presenza di un progetto ben sviluppato, con date e linee guida certe. Gallizio non deve essere relegato in spazi condivisi: serve un museo dedicato a lui e alla sua corrente, capace di spaziare fino all’arte contemporanea. Un museo dinamico, al passo con i tempi». E conclude: «Spero che la nuova Amministrazione si faccia avanti, dimostrando maggiore sensibilità di chi li ha preceduti».
Francesca Pinaffo
