LAVORO «Sono sempre meno i giovani che scelgono un lavoro manuale», è questo l’allarme lanciato dal presidente di Confartigianato Cuneo, Luca Crosetto a fine agosto. Le ragioni sono molteplici, «negli ultimi dieci anni non siamo riusciti a rivalutare e tanto meno a valorizzare le scuole professionali in modo da renderle più appetibili e attrattive agli occhi dei ragazzi».
Spiega a Gazzetta: «Oggi esiste una sorta di pregiudizio che colloca questo tipo di scuole in una sorta di “serie b” formativa, invece, si tratta di istituti prestigiosi e di estrema qualità, che preparano a un mondo del lavoro sempre più bisognoso di talenti».
Nel futuro «il rischio è che vengano a mancare anche nel Cuneese persone capaci di svolgere lavori artigianali, come elettricisti, fabbri, serramentisti e idraulici. Ai pochi che conserveranno questa capacità non mancherà certo l’occupazione e le possibilità di avviare attività imprenditoriali saranno molteplici».
La situazione in Italia
I dati confermano le preoccupazioni: in Italia nel 2012 gli artigiani erano poco meno di 1 milione e 867mila, nel 2023 la platea complessiva è crollata di quasi 410mila soggetti (-73mila soltanto nell’ultimo anno). Oggi il totale sfiora quota 1 milione e 457mila. Nella sola provincia di Cuneo in questo lasso temporale è stata registrata una diminuzione di 7.298 artigiani, pari al -24,3%. Nella classifica nazionale la Granda si colloca al posto numero 31 su 103 per gravità della situazione.
«Dobbiamo trovare il modo per aiutare i giovani a effettuare scelte in controtendenza», ha aggiunto Crosetto. «In vista di un futuro sempre più tecnologico, con l’intelligenza artificiale che è destinata a cambiare il settore dell’artigianato, è importante che professionisti e aziende avviino percorsi formativi adeguati e rimangano al passo coi tempi. Se la componente tecnologica potrà sostituire parte del sapere umano, non sarà possibile delegarle totalmente le funzioni né rinunciare ai talenti e alla capacità individuale, entrambe rimangono il perno centrale dei lavori di tipo manuale».
Due artigiani si raccontano
Le storie artigiane toccano ambiti differenti, tra loro c’è quella di Ivano Ghiglia, uno degli ultimi rimasti a dedicarsi alla lavorazione della pietra di Langa. Ivano porta avanti questo antico mestiere nella sua casa-studio a Roascio, vicino a Ceva.
Nel volume Storie d’impresa, il valore artigiano pubblicato negli scorsi mesi da Confartigianato, Ghiglia spiega che fu suo padre a spingerlo a provare a scolpire ad appena 9 anni. «Col suo aiuto riuscii a fare un ottimo lavoro, la scultura di un viso con il collo lungo», racconta.
Nel 1999 iniziò il mestiere sospendendolo soltanto per il servizio militare. Le prime opere non erano artistiche, ma decorative. Racconta Ghiglia: «In seguito ci furono delle officine che sapendo della mia capacità nel lavoro manuale mi offrirono una serie di progetti significativi da realizzare in loco: si trattava di scolpire opere importanti. Quelle esperienze mi portarono altri clienti che sapevano di poter ottenere da me quello che desideravano».
Da allora il passaparola si è allargato, producendo opportunità costanti: «Il mio laboratorio e la mia casa sono vicini, nello stesso posto trovo l’ispirazione e vivo con la mia famiglia. Mi piace sentire sulla pelle il cambio delle stagioni, il caldo e il freddo, fa bene a me e alla pietra. Ho provato a lavorare all’interno di un capannone, ma ho capito che non fa per me, da allora sono sotto le stelle, è lì che trovo l’ispirazione».
Conclude: «Come mi ha insegnato mio padre, la pietra di Langa ha una particolarità: non arriva dalle cave, ma si trova nel terreno e viene tirata via dai contadini durante gli scassi, quando fanno nuovi impianti per le viti o le nocciole. Io scelgo quella, una pietra organica, la uso anche se è già stata adoperata da altri, sento in quell’elemento una forza ancestrale, il lavoro e l’operosità degli antenati. In quella pietra c’è un grande energia. Anche se è giovane rispetto al granito, è piena di storia e di lavoro».
È simile anche la storia di Guido, elettricista albese di 62 anni che ha saputo preservare tecniche rare, oggi difficili da reperire. «Ho lavorato per 35 anni in una grande azienda del territorio. Una volta in pensione le persone hanno iniziato a telefonarmi per chiedere aiuto: chi ha una lavastoviglie rotta, chi deve allestire un impianto elettrico, chi necessita di montare un lampadario. I clienti dicono: è molto difficile trovare professionisti onesti e competenti, sembra che gli elettricisti siano le persone più impegnate al mondo, non hanno mai tempo, ce ne sono così pochi».
«Così ho deciso di mettere le mie competenze al servizio della comunità. Mantengo tariffe contenute in modo che tutti possano permettersi il mio intervento. Penso che oggi fare il mio mestiere abbia anche un risvolto sociale, per così dire. Per me è importante che tutti possano riparare i propri oggetti», aggiunge.
La relazione di Ires
La sparizione degli artigiani riguarda anche altre professioni nel mondo del lavoro. Come illustrato dalla relazione annuale di Ires Piemonte pubblicata nelle scorse settimane. In regione le persone invecchiano, mancano giovani in grado di sostituire gli anziani e la capacità produttiva generale ne risente. Nel dettaglio, la quota di occupati di 60 anni in vista del pensionamento ha superato nel 2023 la soglia del 10% (nel 2015 erano il 7%, nel 2010 il 4,5%), con una quota maggiore tra i lavoratori indipendenti (18,8% rispetto al 7,5% dei dipendenti).
In parallelo diminuiscono le nuove generazioni: il Piemonte presenta 66 occupati giovani ogni 100 maturi. Lo sbilanciamento è molto evidente tra gli indipendenti.
In riferimento alle dinamiche demografiche Marco Adamo, Stefano Aimone e altri ricercatori di Ires spiegano che il sostegno alla crescita futura potrà derivare dall’aumento della produttività, da un innalzamento del tasso di partecipazione al mercato del lavoro e dall’attrazione di nuove persone dall’esterno della regione. «Produttività vuol dire innovazione, investimenti in tecnologia, ma anche creazione di competenze, con una particolare attenzione a indirizzare il sistema formativo tenendo conto delle esigenze delle imprese, riducendo la discrepanza che continua a essere segnalata come un consistente ostacolo all’incontro tra offerta e domanda».
Il futuro passa attraverso la scuola
Nell’ambito della formazione, i ricercatori sottolineano come sia necessario non solo favorire l’accesso all’università, ma anche rafforzare il sistema basato sugli istituti tecnici superiori, che in Piemonte hanno raggiunto livelli di eccellenza, ma che tuttavia costituiscono ancora una nicchia nel sistema formativo, mentre negli altri Paesi europei avanzati (e con un basso livello di disoccupazione giovanile) incarnano un robusto pilastro.
Concludono: «Inoltre è necessario favorire l’accesso al mercato del lavoro delle fasce di popolazione che presentano un tasso ridotto di partecipazione, iniziando dai Neet (giovani che non studiano né lavorano) e dalle donne, aumentare l’attrattività del territorio regionale per chi viene da fuori, e trattenere i nostri giovani (spesso qualificati) che vanno a lavorare all’estero».
Da quest’ultimo punto di vista, «è bene ricordare il problema delle retribuzioni, cresciute meno dell’inflazione e che mostrano un gap rilevante rispetto ad altri Paesi con i quali ci confrontiamo, quelli dove emigrano i nostri laureati».
Stefano Mo