LA STORIA «Il mio datore di lavoro è un brav’uomo, ma ha molta paura. È anziano e nella sua azienda eravamo in sette dipendenti. Ci occupavamo di materiali elettrici. Quando ha scoperto che ero incinta ha scelto di non rinnovarmi il contratto. Era molto dispiaciuto, mi ha chiesto scusa mille volte. Io l’ho perdonato, ma il risultato è che sono dovuta rimanere a casa». Annalisa è una ragazza di 29 anni. Viene dalla Sicilia, coi genitori si è trasferita qui a cinque anni. Oggi abita ad Alba in zona Mussotto col compagno e aspettano un bambino, ma a livello economico non sono tranquilli. Con uno stipendio pari a circa 1.400 euro al mese, un affitto da pagare e tante spese quotidiane temono di non poter assicurare un futuro solido al figlio.
Prosegue Annalisa: «Dovrò ricominciare a lavorare, ma probabilmente finirò a fare le pulizie oppure la badante. Niente di male in queste mansioni in sé, si tratta però di posizioni sotto-retribuite e precarie. Purtroppo non ho preso il diploma quando avrei potuto, avevo un disturbo dell’apprendimento che nessuno ha riconosciuto e questo mi ha impedito di giungere al termine del percorso scolastico. Ora mi ritrovo a transitare da un lavoretto all’altro, a dipendere da capi e datori di lavoro che mi possono lasciare a casa quando vogliono, a firmare contratti precari. Non amo questa vita, ma non ho alternative».
Nella nostra regione le persone come Annalisa sono tante. Lo dice un’indagine pubblicata nelle scorse settimane dall’istituto di ricerca Ires Piemonte. Secondo l’analisi, un occupato su dieci giudica “cattivo” il proprio lavoro e il cinque per cento “pessimo”.
La percezione negativa è più frequente tra le donne, mentre tra i giovani coinvolge un occupato ogni tre, e uno ogni quattro tra chi ha un titolo di studio basso. Inoltre, il 17 per cento dei lavoratori piemontesi considera possibile perdere il proprio impiego: un’incidenza che aumenta tra gli operatori del commercio, i tecnici, i dirigenti e i funzionari, come pure tra i più giovani.
Infine, ammontano a circa 190mila i lavoratori irregolari stimati in Piemonte, circa il dieci per cento degli occupati. Per un terzo lavorano nei servizi alle famiglie, presentano spesso una fragilità particolare e c’è assenza delle più basilari tutele.
Maria Delfino