
SALUTE Sui medici di famiglia e sulla loro organizzazione, in un futuro non troppo lontano potrebbe cambiare tutto. Sarà di certo così, se verrà sviluppata e approvata la riforma di legge in materia su cui il Ministero starebbe lavorando con determinazione.
I ragionamenti, in realtà, vanno avanti da anni, a fronte di criticità evidenti: da un lato pazienti che troppo spesso lamentano disservizi (per Cittadinanzattiva, le segnalazioni degli italiani in questo ambito sono triplicate in cinque anni, dal 5,4% di quelle ricevute nel 2018 su temi sanitari al 14,2% del 2023), dall’altro professionisti oberati dalla burocrazia e da un carico di lavoro insostenibile.
Ora che una riforma è al vaglio, per gli stessi medici non andrebbe nella direzione giusta. I pilastri del documento, trapelati la scorsa settimana, sono due. Il primo: i nuovi specializzati verrebbero assunti come dipendenti dal Servizio sanitario nazionale, come i colleghi ospedalieri. Una rivoluzione, visto che fino a oggi sono stati inquadrati come liberi professionisti convenzionati. Per chi è già oggi operativo, dovrebbe essere mantenuta la possibilità di scelta.
Il secondo punto: i medici, oltre che nei loro studi, dovranno essere presenti nelle case di comunità, dove verrà assicurata una copertura giornaliera dalle 8 alle 20. Significa che dovranno dividersi tra i propri pazienti e il distretto. Cambierebbe il carico di lavoro, con 38 ore da garantire a settimana, rispetto a quelle attuali, che vanno da 5 a 15.
I percorsi di cura
È proprio quest’ultimo uno degli aspetti più criticati. Ne parla Andrea Gonella, in servizio nel Roero, vicesegretario vicario di Fimmg Cuneo (Federazione italiana medici di medicina generale): «C’è un errore: le 15 ore di cui si parla riguardano l’attività ambulatoriale in senso stretto: non si tiene conto di tutto il resto. Se si pensa che, nella nostra Asl, il 13% degli over 65 sono seguiti al domicilio, è evidente che il nostro impegno va ben oltre le visite in studio quotidiane».

Riprende il medico: «Parliamo di una riforma in divenire, ma ciò che ci allarma è la concezione di fondo: come si può pensare di trarre benefici dal togliere ore negli ambulatori nei singoli paesi, a favore delle poche case di comunità?».
Il discorso è chiaro se applicato alla Cn2: «Siamo una presenza capillare, che garantisce spesso servizi ulteriori, basti pensare alle vaccinazioni. Nel nostro territorio, le case di comunità sono cinque: Canale, Cortemilia, Alba, Bra e Santo Stefano Belbo, rispetto agli studi attivi dal Roero all’alta Langa. Come categoria, siamo pronti a dare il nostro contributo anche in queste strutture, ma deve essere un’integrazione, non un impoverimento».
Il rapporto di fiducia
Sull’assunzione da parte del pubblico, Gonella prosegue: «Potrebbe essere incentivante, a una prima analisi, per tutte le garanzie connesse al lavoro dipendente. Ma emergerebbero le stesse problematiche: ci pare inverosimile che, con il numero di ore previsto, si possano esaurire tutte le incombenze, anche alla luce di una carenza di professionisti purtroppo diffusa».
Per non dimenticare la questione chiave: «Come potrebbe il pubblico farsi carico di un’attività complessa come la nostra, solo con le risorse organizzative che ha a disposizione? Si rischia di peggiorare la situazione, anziché migliorarla».
Il medico cita il modello spagnolo: «Hanno un sistema di assunzione pubblica analogo a quello di cui stiamo parlando, che crea molte criticità, proprio per questi motivi». E conclude: «Con questo cambio di passo, si perderebbe anche il rapporto di fiducia con i pazienti, che hanno diritto di scegliere il professionista da cui farsi curare: ben venga erogare servizi nelle case di comunità, ma la medicina generale è una presa in carico, un percorso vero e proprio».
«C’è già una soluzione: le aggregazioni territoriali»
In realtà, una possibile soluzione ai problemi della medicina generale esiste già. Per l’Asl Cn2, è un piano scritto nero su bianco: sono le cosiddette Aft, le aggregazioni funzionali territoriali.
Per semplificare, si tratta di gruppi omogenei di professionisti che organizzano il loro lavoro in rete, strutturati a seconda dei residenti della zona di riferimento, così da rispondere alle diverse necessità, anche al domicilio. L’obiettivo è ottimizzare tempo e risorse, in modo da garantire una copertura giornaliera negli studi dalle 8 alle 20, 7 giorni su 7. Importante anche il coinvolgimento, sempre in rete, dei colleghi della continuità assistenziale, la guardia medica.
Un modello previsto a livello nazionale e dalle Regioni, su cui le aziende sanitarie hanno iniziato a pianificare. Dice Andrea Gonella: «La Cn2 ha fatto un grande lavoro su questo tema, mettendo a punto le varie Aft: sei, così da coprire l’intero territorio. Per noi, è questa la strada giusta, perché non snatura la professione, ma la valorizza al massimo, facendo della collaborazione tra medici il punto di forza». In totale, sono più di cento i professionisti in servizio, sulla carta già aggregati.
L’attivazione delle Aft, secondo i piani, era prevista per gennaio 2025: «Qualcosa si è fermato a livello della Regione e non ne sappiamo i motivi. Ci auguriamo che non dipenda dalla possibile riforma: sarebbe un errore. Chiediamo pertanto che si prosegua in tal senso e che venga concretizzato ciò su cui abbiamo lavorato nell’ultimo anno: manca solo il via libera». f.p.
Francesca Pinaffo
