
CINEMA Il film Trifole – le radici dimenticate è uscito nelle sale italiane il 17 ottobre. Ora la pellicola diretta da Gabriele Fabbro è stata presentata, con i sottotitoli, al pubblico statunitense. Dal 2 al 13 gennaio Trifole ha partecipato al festival di Palm Springs, una delle più prestigiose rassegne cinematografiche internazionali. Gli altri titoli italiani in concorso erano Parthenope di Paolo Sorrentino, C’è ancora domani di Paola Cortellesi, Vermiglio di Maura Delpero e Leggere Lolita a Teheran di Eran Riklis, coproduzione italoisraeliana.
Fabbro, nato nel 1996 a Milano, è laureato a Los Angeles alla New York Film academy. Trifole è il suo secondo lungometraggio, uscito dopo The grand Bolero del 2021. In merito all’esperienza negli Stati Uniti racconta: «Il fatto che un festival di tale portata ci abbia accolti è stato incredibile, la nostra è, comparata ad altre pellicole, una piccola produzione di famiglia. Ho inviato la domanda di iscrizione e sono stato accolto, senza conoscere nessuno: qualcosa di impensabile in Italia, dove se ti mancano i contatti non puoi muoverti. Per accedere alla fase finale bisogna superare una serie di selezioni in cui il pubblico, dopo la visione, gira semplicemente il pollice in su o in giù. Poi, nel festival, ci sono altre quattro proiezioni. Concorrevo nella categoria dei giovani registi, non abbiamo vinto ma neanche ci speravo».
A breve sarà il momento dell’arrivo nelle sale cinematografiche a stelle e strisce. Prosegue Fabbro: «Le recensioni positive ottenute a Palm Springs mi fanno ben sperare in una buona accoglienza. Molto meglio che in Italia: in fondo, il film è stato pensato per un pubblico straniero. Qui da noi c’è chi ha detto che si è trattato di un’operazione di promozione del territorio: immagino che queste persone non si siano nemmeno degnate di vederlo. Alcune parti, come quella dell’Asta del tartufo, sono state poco capite. Il mio intento era raccontare di una modernità che annienta la tradizione: essendo immersi in questo contesto, forse per noi è più difficile. Un occhio straniero può cogliere meglio certi aspetti. Paradossalmente, i primi venti minuti, in cui tutto è raccontato con lentezza, sono piaciuti molto in Italia e poco negli Stati Uniti».
Prima di girare Trifole, Fabbro conosceva poco questo mondo: «Il tartufo l’avevo mangiato quando, da bambino, venivo con i miei genitori ad Alba. Insieme a Ydalie Turk, attrice sudafricana protagonista nel ruolo di Dalia e cosceneggiatrice, cercavamo l’ambientazione per una storia che ci riportasse al neorealismo italiano. Lei, d’altronde, possiede la grazia che era di Ingrid Bergman. Sapevo che i trifolao si cimentano, di notte, in una caccia al tesoro avvincente e molto cinematografica. Vivono una vita semplice ma, allo stesso tempo, il frutto delle loro ricerche è venduto a peso d’oro». Nel 2022 «ho iniziato a fare avanti e indietro tra Milano e le Langhe, poi per un anno e mezzo mi sono stabilito qui. Mi sono comportato da spugna, cercando di assorbire qualsiasi dettaglio. Ho vissuto ad Alba, Monforte, Dogliani, Barolo, Bossolasco e Cissone. A Somano è avvenuto l’incontro con l’ex sindaco Claudio Paolazzo, il quale mi ha fatto conoscere Birba, il cane ereditato da Marisa, moglie del primo cittadino di Bossolasco Franco Grosso, e mi ha convinto ad ambientare gran parte delle riprese in paese».
Trifole, a febbraio, uscirà in Dvd e sulle piattaforme. «Lo porteremo in concorso in altri festival negli Stati Uniti e, in Italia, parteciperà ai David di Donatello e ai Nastri d’argento. Più che per me, spero in un riconoscimento per Umberto Orsini, il quale interpreta il trifolao Igor. È il nonno di Dalia, ragazza londinese mandata dalla mamma, interpretata da Margherita Buy, a passare del tempo con lui. Ad aprile, Umberto compirà novant’anni e, nella sua straordinaria carriera, manca un riconoscimento di questo tipo».
Davide Barile
