ABITARE IL PIEMONTESE / La parola della settimana è Cabalestȓa; aȓc-ën-cel; sëntuȓa ‘d San Pé

Arcobaleno

Abitare il piemontese: la parola della settimana è Possacafé 25

di Paolo Tibaldi 

ABITARE IL PIEMONTESE – La leggenda narra che tanto tempo fa la Terra fosse grigia e il cielo non conoscesse l’arcobaleno. I colori esistevano, ma vivevano soli; quando s’incontravano litigavano rumorosamente. Erano egoisti e mai pronti ad aiutarsi, tanto che il cielo, triste, scoppiava spesso in lacrime. Le nuvole, stanche di tutto quel baccano, si riunirono in Consiglio e decisero di dare ai colori una lezione. Si strinsero forte e scatenarono un temporale mai visto: pioggia, fulmini e tuoni. I colori, impauriti, si abbracciarono per farsi coraggio. Passerà! disse il blu. Ce la faremo! aggiunse il rosso. Le nuvole, commosse da quella nuova unione, fermarono la tempesta. Tornò il sole e, nel cielo, per la prima volta, i colori rimasero abbracciati: così nacque l’arcobaleno.

Questa settimana parliamo di qualcosa che sa sempre meravigliare gli occhi umani, in tutto il mondo. L’arcobaleno vanta almeno tre differenti modi piemontesi per essere chiamato. Il più diffuso è forse cabalestȓa, ma anche aȓc-ën-cel. Una minoranza lo chiama sëntuȓa ‘d San Pé. Quest’ultima espressione significa letteralmente cintura di San Pietro, come a indicare ciò che cinge il detentore delle chiavi del paradiso, dunque del cielo.

Aȓch ën cel è un’espressione comune a tutta l’area galloromanza, diffusa nel francese, nel francoprovenzale e nell’area galloitalica torinese, fino alle valli Valdesi. Si può parlare di un francesismo, da arc-en-ciel (arco in cielo, dal latino arcum in caelo), favorito dalla continuità linguistica transalpina e dal prestigio di Torino, che ne ha sostenuto la diffusione.

Cabalestȓa, invece, è una parola dall’origine davvero curiosa. Il suo etimo va cercato nell’aȓch a balestȓa. In linguistica è chiamato processo dell’agglutinazione; per via dell’uso popolare o dell’oralità, più elementi lessicali si fondono in un’unica nuova parola: cabalestȓa, appunto.

Alcune leggende fiabesche parlano del famoso paiolo magico, pieno d’oro, sotterrato alle estremità dell’arcobaleno. Ma a noi è anche capitato di sentire che proprio lì ci sia un bàbi, un rospo brutto e solitario, custode del paiolo e dei piccoli doni per chi ancora crede nelle favole. Nessuno lo ringraziava mai, eppure lui aspettava sempre, vivendo tra i colori, sognando di ricevere un regalo. Finché un ragazzo, colpito dal suo sguardo triste, gli donò un quarzo ricevuto e da allora anche altri iniziarono a regalargli qualcosa, perché anche chi dona merita un po’ di magia.

Banner Gazzetta d'Alba