ABITARE IL PIEMONTESE – Con la parola piemontese avzin s’intende letteralmente prossimo o vicino, in termini di distanza spaziale o relazionale. Deriva dal latino vicinus che ha lo stesso significato e origine. Etimologicamente è collegato a vicus, villaggio o quartiere, suggerendo quindi una persona che abita nelle vicinanze. Il modo di dire più istintivo è avzin ‘d cà (vicino di casa), mentre un proverbio dice: chi ch’o ȓ’ha ‘n cativ avzin o ȓ’ha nen requie nì seiȓa, nì matin (chi ha un cattivo vicino non ha pace né alla sera né al mattino). I verbi derivati dalla parola di oggi sono avziné (avvicinare) e avzinesse (avvicinarsi). C’è però un aspetto antropologico importante che sottolinea questa parola, fino ad approfondirla anche da un punto di vista sociale e relazionale. Ci fu un tempo in cui nelle campagne piemontesi la povertà era diffusa, senza grandi disparità. L’unica consolazione era quella di essere tutti sotto lo stesso cielo. In assenza delle istituzioni ci si governava da soli. Ogni borgata seguiva regole e ritmi propri, una giustizia regolata sul buonsenso. Di abbondante ci fu la solidarietà e l’attenzione al prossimo, a j’avzin.
Durante la vendemmia, per esempio, le famiglie collaboravano per raccogliere l’uva. Il forno comune era un luogo d’incontro e condivisione e, anche nei momenti difficili, come le malattie, la comunità si stringeva intorno a chi aveva bisogno. Anche le veglie serali nelle stalle, le vijà, contribuivano a rinsaldare i legami tra le persone, favorendo quella che oggi definiremmo integrazione e senso di comunità. Ancora oggi nella forma mentis di questa civiltà sopravvive un interrogativo, senz’altro figlio di quei valori: s’i-e mnìssa cheicadun, ȓ’omni cheicòs da deje? (se venisse qualcuno, abbiamo qualcosa da dargli?) è la domanda con cui siamo stati educati, l’unità di misura dell’ospitalità contadina. Si tratta forse il manifesto della parola avsin. In alta Langa, un po’ di tempo fa, una donna ci disse: «se dovessi aver bisogno, per te un piatto caldo ci sarà sempre». Nonostante i chilometri di distanza fisica, quel piccolo grande pensiero, fa di Gina una vera avzin-a.
Paolo Tibaldi
