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Abitare il piemontese / La parola della settimana è Pelavërga

Si tratta di un vitigno a bacca nera da cui si ricava un vino dalle caratteristiche speziate. Il nome deriverebbe dal latino pellis virga, in riferimento alla tecnica di pelatura dei tralci per favorire la maturazione dell’uva.

Abitare il piemontese: la parola della settimana è Possacafé

ABITARE IL PIEMONTESE – Il 2025 segna il trentesimo anniversario della Doc di un particolare vitigno a bacca nera: il Verduno Pelaverga. Il nome deriverebbe dal latino pellis virga, in riferimento alla tecnica di pelatura dei tralci per favorire la maturazione dell’uva, mentre secondo un’altra teoria, alluderebbe a presunte virtù afrodisiache. Si distingue in più varietà: il Pelaverga grosso del Saluzzese (documentato già nel VII Secolo) e della collina Torinese, dov’è detto Cari. L’introduzione in Langa del Pelaverga piccolo si deve, probabilmente, al beato Sebastiano Valfrè nel Settecento, che lo portò dal Saluzzese nella natia Verduno. Gli studi moderni dimostrano però la netta diversità tra i due vitigni per caratteristiche ampelografiche, agronomiche ed enologiche.

Il Pelaverga conobbe un periodo di declino a causa della filossera e dello spopolamento rurale, ma dagli anni Settanta del Secolo scorso trovò nuovo impulso grazie alle vinificazioni in purezza che ne valorizzano il bouquet aromatico. Il Verduno Pelaverga si distingue per note speziate dovute alla molecola di rotundone, responsabile dei sentori di pepe nero, rosa e lampone. La sua identità è legata a un mosaico geologico unico, tra marne di Sant’Agata, formazioni di Cassano Spinola, vene di gesso e conglomerati di La Morra. Il fiume Tanaro completa questo ambiente singolare delle Langhe. Dal 1995, anno del riconoscimento come Verduno Pelaverga Doc grazie all’impegno di Renata Salvano e sei cantine locali, gli ettari vitati sono passati da sette a più di 35 e la produzione da 40mila a 260mila bottiglie, affermando questo vino come elemento autentico delle Langhe.

Pelavërga però, è anche un epiteto popolare con accezione negativa: indica un individuo buono a nulla o scansafatiche, affine a pelacordìn o fustapianele. L’omonimia con il vino è probabilmente casuale. Lo scrittore e autore teatrale Oscar Barile usa il termine in entrambe le declinazioni: nella commedia Strì cita l’uva: «r’han na tisana fata con essenza ‘d feuje ‘d pocio bità ‘n fision con most d’uve pelavërga», mentre in Ciarlatan lo adopera come insulto: «Stà cito, d’ën piantin d’arba brusca, d’ën pelavërga che tì et no capissi meno che na nià ‘nt ‘n sarz».

Paolo Tibaldi 

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