Il caos mediatico che circonda il probabile avvento del federalismo municipale crea zizzania tra parti politiche ed economisti.
Difatti, la riforma del sistema tributario implica conseguenze di non poco conto e difficili da prevedere. Il governo difende i decreti che andranno a comporre la manovra sulla base di alcune certezze, così sintetizzabili: il federalismo premierà gli enti locali virtuosi (al contrario di com’è avvenuto finora), rinforzerà la lotta all’evasione fiscale, potrebbe ridurre il peso delle imposte, determinerà una migliore gestione del denaro pubblico.
In attesa dell’approvazione della riforma, si susseguono cascate di obiezioni: una fra tutte, le indagini della Cgia di Mestre. L’associazione veneta degli artigiani e delle piccole imprese ritiene che l’introduzione dell’Imu (Imposta municipale unica), in sostituzione all’Ici sugli immobili strumentali (ossia negozi, laboratori artigianali, uffici e capannoni industriali), provochi un aggravio di circa 540 milioni di euro a livello nazionale.
Secondo la Cgia, a subire il peso dell’incremento fiscale sarebbero gli immobili di proprietà di società e imprese: sulla classe di negozianti l’aggravio ammonterebbe a 41,6 milioni di euro, 50,8 milioni per i liberi professionisti e circa 450 milioni di euro tra industriali e artigiani. Se si considerano, invece, tutti gli immobili del Paese, indipendentemente dal proprietario, si assisterebbe a un incremento del gettito nelle casse dei Comuni pari a ben 738 milioni di euro: un respiro vitale per enti in affanno.
Rincara la dose la Cgia, evidenziando un risvolto imposto dal federalismo: i Comuni del Centro-Nord risulteranno avvantaggiati, quelli del Sud penalizzati. Per capire: il federalismo si basa su un sistema di “diversa destinazione” dei fondi fiscali: il cittadino paga imposte che, fino a oggi, confluivano nelle tasche dello Stato, il quale poi li ripartiva tra gli enti pubblici. Ora, oltre a cambiare il metodo di ripartizione, verrebbero individuate specifiche tasse destinate agli enti locali.
La Cgia calcola che i Comuni dell’Emilia Romagna siano privilegiati (+73 euro pro capite rispetto al 2010); di seguito verrebbero i veneti (+52 euro) e i liguri (+51 euro). I piemontesi si aggiudicano, sempre stando agli artigiani veneti, il quinto posto (+10 euro). Meno fortunati sarebbero i Comuni del Sud, con gli enti lucani (-155 euro pro capite) a subire la più grave penalizzazione. Anche se l’attivazione del fondo perequativo dovrebbe garantire un riequilibrio, si tratta di rilevazioni che spaventano. E che gettano ombre su una riforma che, perlomeno nel breve termine, potrebbe richiedere sacrifici a una struttura economica vacillante.
m.v.