Trappola per atomi al Cern

I giornali di questi giorni riportano stupefacenti novità nel campo della fisica: catturata l’antimateria, trovata la “particella di Dio”. Viene da chiedersi: è tutto vero? L’abbiamo domandato a Paolo Giubellino, originario di Alba, laureato in fisica all’Università di Torino e dirigente di ricerca dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), spokesperson di Alice, uno dei principali esperimenti del Large hadron collider (Lhc), l’acceleratore di particelle più grande del mondo.

Professore, partiamo dall’antimateria: che cosa è successo a Ginevra?

«È stato osservato il più grosso antinucleo mai prodotto. Quando avvengono trasformazioni, si producono particelle e antiparticelle in quantità uguali: questo accade anche a energie bassissime, dalle quali “vengono fuori” un elettrone e un positrone (cioè un antielettrone). È più complesso produrre un antiprotone: è richiesta un’energia elevata, serve cioè un grande acceleratore di particelle. Molto complesso è creare un antiatomo: per avere un nucleo di antiidrogenoCern Ginevra è necessario produrre un antiprotone e un positrone e farli incontrare e legare. Questo risultato è stato conseguito in tempi recenti, e nell’ultimo anno si è riusciti per la prima volta a catturare in una “trappola magnetica”, simile a quella del film tratto dal libro di Dan Brown Angeli e demoni, atomi di antiidrogeno: una piccolissima quantità, una ventina. Sempre più complesso, e più interessante, è formare antinuclei più pesanti: bisogna mettere abbastanza energia da antiprotoni e antineutroni, in quantità tale che due si accoppino e formino un nucleo di antideuterio. Per la prima volta in tempi recentissimi nelle collisioni di nuclei si sono ottenuti quattro nucleoni: due protoni e due neutroni si sono uniti, formando in questo modo un nucleino di antielio. La scoperta è stata fatta dagli americani, che si dedicavano a questo studio da dieci anni; da noi la scoperta è stata confermata in due mesi, a dimostrazione della potenza incredibile dell’acceleratore di cui disponiamo».

Cern impiantiPerché questa scoperta è tanto importante?

«Nelle scorse settimane è stato lanciato nello spazio un missile Shuttle, con a bordo una strumentazione, fatta in considerevole parte da italiani, che serve per misurare quanti antinuclei sono presenti nella radiazione cosmica. Tutti i processi fisici producono uguale quantità di materia e antimateria. Ma è evidente che noi vediamo intorno a noi solo materia. Le ipotesi sono che ci siano delle piccolissime asimmetrie in alcuni particolari processi fisici, che portano a una differenza (e su questo si concentrano alcuni esperimenti molto sofisticati al Cern di Ginevra); oppure che ci siano asimmetrie nello spazio, cioè è possibile che nella nostra parte di spazio ci sia più materia, e che in un’altra ci sia antimateria. Il modo per appurarlo è vedere in quale quantità l’antimateria si trovi nei raggi cosmici, che arrivano dalla profondità dello spazio. La prima considerazione da fare è che bisogna tener conto delle collisioni che i raggi cosmici incontrano nel percorso: anche queste saranno caratterizzate da antimateria. Si andrà dunque a vedere non tanto se ci saranno antiprotoni o positroni, ma nuclei molto improbabili, come l’antielio. Inoltre, per capire se da qualche parte ne arrivano di più, bisognerà capire quanto antielio si dovrebbe produrre in collisioni “normali”. E fino a pochi giorni fa non si era mai visto un nucleo come questo».

Adriana Riccomagno

Fuga di notizie sulla “particella di Dio”

Cern computerVeniamo alla “particella di Dio”, Giubellino: imedia hanno segnalato la scoperta del bosone di Higgs. Lo può confermare? «Purtroppo, si tratta di una fuga di notizie, che però può essere interessante per far capire come funziona il nostro lavoro. Gli esiti dei nostri esperimenti vengono valutati in base a quella che si chiama “fluttuazione statistica”. Facciamo un esempio: poniamo che ad Alba ogni anno si ammalino di meningite in media quattro persone. Se quest’anno si ammalano in cinque dobbiamo agitarci? Per capirlo si ricorre alla “deviazione standard”, che, semplificando, è la radice quadrata del numero. Ciò significa che se un anno si misurano otto casi, la situazione è da considerare banale, come se un anno se ne verificassero zero. Sarebbe curioso se salissero a dieci, e se fossero 14 ci sarebbe da preoccuparsi, perché l’aumento sarebbe significativo. Quando succede che in un esperimento si verifichi qualcosa di curioso, il ricercatore lo comunica, dicendo: guardiamoci meglio, e si dà il via a tutta una serie di verifiche. Di queste segnalazioni ce ne sono centinaia ogni anno, e non vengono comunicate all’esterno, perché fa parte della normalità, della routine del nostro lavoro. Invece, in questo caso, proprio una di queste è finita sul blog; poi le ricerche più approfondite faranno sì che la scoperta si consolidi o svanisca (sono molte di più quelle che svaniscono). Verosimilmente una delle segnalazioni – non si può dire adesso se proprio quella oppure un’altra – sarà quella giusta: la velocità con cui stiamo raccogliendo i dati fa pensare che nell’arco di quest’anno sia possibile che si sappia molto di più. La “particella” cui fa riferimento la definizione abbastanza infelice di “particella di Dio” è il bosone di Higgs, una ipotetica particella elementare prevista dal modello standard della fisica delle particelle. Nell’ipotesi che questa esista, essa sarebbe l’unica particella del modello a non essere stata ancora osservata. Le possibilità quindi sono due: o verrà confermato il modello standard, oppure sarà necessario rifare un modello in base alle nuove scoperte, cosa che per la fisica sarebbe ancora più divertente».

a.r.

Banner Gazzetta d'Alba