«L’Europa vive una transizione difficile e non solo per la crisi economica e finanziaria che interessa tutti e minaccia di fallimento Paesi come la Grecia, ma anche per fibrillazioni diffuse del quadro politico. Queste dinamiche sono evidenti in Italia, ma non sono assenti in altri importanti Paesi citati come esempio di stabilità, come la Germania».
Lo spiega Franco Chittolina, responsabile del Centro studi della fondazione “Cassa di risparmio di Cuneo”, originario di Trinità, laureato in filosofia all’Università di Lovanio (Belgio), una vasta esperienza presso la Commissione europea.
Con Chittolina riflettiamo al post referendum, in particolare al tema energetico, legato al “no” al nucleare.
Gli elettori, in Italia, stanno prendendo a “sberle” i politici, Chittolina?
«In Italia gli esiti delle ultime consultazioni, da quelle amministrative ai referendum, hanno mandato messaggi chiari sul rifiuto della vecchia politica, senza ancora dirci quale potrà realisticamente essere quella nuova. I referendum, in particolare, per la loro natura abrogativa, ci hanno detto che cosa gli italiani non vogliono: adesso si aspettano che questo messaggio inneschi in positivo nuove politiche, più attente alla “sovranità popolare” e al bene comuneche non all’interesse del “Principe”. Con i referendum ha vinto la democrazia partecipativa, molto meno i partiti comunque schierati».
Quindi, ora, che cosa dovrebbe accadere?
«Adesso tocca alla democrazia rappresentativa – quella delle nostre istituzioni democratiche – fare il suo lavoro o prendere atto della sua incapacità di rispondere alla domanda popolare e tornare davanti agli elettori».
Anche in Europa la politica è in difficoltà?
«Non per consolarci a poco prezzo, ma dinamiche analoghe a quella italiana le conosce anche la Germania, dove i meccanismi del consenso per chi governa si stanno inceppando. Ne sa qualcosa la cancelliera Angela Merkel, la quale a ogni elezione regionale si becca le sue brave “sberle” e assiste al ritorno in forza dei Verdi, avviati di questo passo a diventare il secondo partito tedesco».
Merkel non risponde alle attese del suo Paese?
«Sta maturando in Europa la voglia di un altro modello di sviluppo, meno drogato dall’ossessione della crescita a tutti i costi e dall’esasperazione del mercato, più preoccupato dei rischi per la salute, più rispettoso dell’ambiente e attento al destino futuro del pianeta».
L’Europa sceglie l’ambiente?
«Sì. Si inseriscono in questo contesto la decisione della Germania di mettere fine entro il 2022 alla produzione di energia nucleare, nonostante la consapevolezza dei pesanti costi che questo comporta, e gli orientamenti analoghi di altri Paesi come l’Austria e la Svizzera. Su quella scia si colloca anche l’esito molto chiaro del referendum italiano sul futuro del nucleare. La vittoria dei “sì” non deve però limitarsi a dire “no” al nucleare, seppure nel contesto di politiche energetiche tutte da reinventare».
Occorre una politica energetica comune. L’abbiamo?
«Inutile nascondersi che ancora una volta l’Ue si presenta divisa e incerta proprio sul futuro della politica energetica, anche se il suo programma 20.20.20 resta un impegno da mantenere, almeno nei limiti del possibile. Tre numeri cui se ne aggiunge un quarto: entro il 2020 l’Ue dovrà ridurre del 20% i consumi energetici, abbassare del 20% i gas a effetto serra e coprire i consumi energetici con almeno il 20% di energie alternative. Un programmache andrà sicuramente rivisto nelle attuali condizioni economiche dell’Ue e a fronte dell’abbandono in alcuni Paesi dell’energia nucleare».
Senza nucleare dove si va? Le energie alternative basteranno?
«Lo sforzo maggiore e immediato non potrà che portare sul risparmio energetico, evitando dispersioni di energia ma anche modificando severamente i nostri stili di vita. L’investimento in energie alternative darà frutti solo sul medio periodo e dovrà fare i conti con diffuse resistenze, come già sta avvenendo, a impianti fotovoltaici ed eolici che non abbelliscono certo i nostri paesaggi. Anche l’obiettivo della riduzione dei gas a effetto serra andrà rivisto in presenza di un ritorno a un’energia inquinante e costosa come quella fossile, carbone compreso. Sono in molti a chiedersi come se la caverà la Germania».
E come se la caverà il nostro Paese?
«Un sondaggio recente ha rivelato che in Italia il 61%delle persone intervistate era contrario al nucleare contro l’11% in favore e il 59% favorevole alle fonti rinnovabili. Sarebbe interessante sapere quanto l’opinione pubblica sia consapevole e pronta a intraprendere la strada severa del risparmio energetico, quando nelle nostre case e nei nostri uffici ci siamo abituati a luci perennemente accese, a elettrodomestici in ogni angolo, a spie luminose che segnalano consumi energetici in corso e a un’esasperazione di costosi trasporti individuali in auto, con i Suv che ingombrano le città, quando non i marciapiedi».
Le pare non sia stato saggio dire “no” al nucleare?
«Il rifiuto del nucleare è imposto, nelle condizioni attuali delle tecnologie utilizzate, da ragioni di sicurezza per la salute e l’ambiente, di affidabilità di chi gestisce le centrali e per l’irrisolto problema dello smaltimento dei rifiuti radioattivi. Ma quelli che al referendum sul nucleare hanno votato “sì”, devono da subito anche sapere dire “sì” a un nuovo modello di sviluppo che dalle paure del futuro traggano coraggio – un coraggio che deve trovare anche l’Ue nel suo insieme – per scelte presenti in favore di una società sobria nei consumi e pronta a pagare il prezzo delle nuove energie alternative su cui investire adesso con determinazione, senza perdere altro tempo a voltarsi indietro, ma anche senza rinunciare a investire sulla ricerca per un futuro “nucleare sicuro”».
Maria Grazia Olivero