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Mi sballo per gioco

La sua rappresentazione assume tinte tragiche. L’assunzione di sostanze stupefacenti è associata a un comportamento riprovevole, autodistruttivo, mortifero, tanto che la parola “droga” si sovrappone a “tossicodipendenza”. Ma la confusione semantica non consente di percepire l’esistenza di microfenomeni diffusi, modi di essere, fare e pensare con cui le nuove generazioni vanno confrontandosi.

Abbiamo provato a indagare il fenomeno a livello albese. Abbiamo scoperto un universo “parallelo”, una sorta di canale sotterraneo fatto di insospettabili protagonisti ed esperienze fuori dell’ordinario. L’esperimento potrebbe replicarlo chiunque. La procedura: selezioniamo un ragazzo, 23enne, che chiameremo K. per esigenze di anonimato. In città conosce parecchi gruppi di giovani, dunque può funzionare da “mentore”: inoltre, K. assicura con una certa sarcastica malizia di «aver abbastanza confidenza col mondo della droga». Dunque, lo seguiamo in una serata estiva, durante la quale i locali notturni sono brulicanti.

CannabisLa prima cosa che K. spiega è la seguente: ad Alba la diffusione di droghe “leggere” riguarda almeno il 20 per cento dei giovani di età compresa tra i 14 e i 17, ma la percentuale arriverebbe al 30 per cento nelle fasce anagrafiche più avanzate. Naturalmente è una stima del tutto personale, che non siamo in grado di vagliare, ma durante la serata incontriamo anche A., 16 anni, e M., 20. Sono amici di K. e confermano i dati: un ragazzo su cinque per i più piccoli, un ragazzo su tre per i più grandi consumerebbe – regolarmente o saltuariamente – hashish o marijuana. Non ne parlano con compiacimento o euforia. È come se “normalizzassero” il fenomeno: considerano le droghe “leggere” come un dato.

Sovente, si crea “microcultura organizzata” attorno alla ricerca, all’acquisto e al consumo di droghe leggere, una sottile trasgressione. Per la maggior parte, spiega K., «lo fanno per noia, oppure per il significato che attribuiscono alla sostanza, per protesta, per dare una scossa alle esistenze, per rimanere uniti». Per l’alcol il discorso è meno complesso, spiega K. al tavolino di un pub del centro. «Bevono tutti, anche se ad Alba i prezzi sono molto più elevati rispetto alle grandi città».

La musica cambia sul fronte delle droghe pesanti. K. indica un gruppetto di ragazzi di ventitré, ventiquattro anni. Poi, uno più giovane, in piedi di fronte all’entrata del locale. «In città la cocaina non è molto diffusa», spiega. «Chi la consuma abitualmente ha in genere un lavoro abbastanza remunerato, dunque è difficile sia giovanissimo. Sostanze come l’Mdma cominciano invece a diffondersi. Gli altri derivati delle anfetamine da molti anni sono disponibili sul mercato».

Dal suo racconto, emerge come l’attrattività delle sostanze psichedeliche per i giovani albesi superi quella di droghe come l’eroina o altri oppiacei, praticamente inesistenti sul mercato locale. «Per capire come funziona, è necessario aver presente che il grosso del mercato è delocalizzato. I ragazzi vanno a Torino o in altre città per acquistare e, nel caso soprattutto delle droghe pesanti, per consumare. Dunque, in città – anche a causa della bassa offerta a livello di eventi – è difficile scovare materialmente le sostanze o chi le consuma». Le istituzioni minimizzano. L’assessore alle politiche sociali Mariangela Roggero Domini assicura di «non essere a conoscenza del fenomeno ».

La ragione è una: da quanto emerge dal racconto di K. e di altri ragazzi – nel corso della serata, abbiamo parlato almeno con quindici di loro –, il consumo di droghe a livello cittadino è moderato. Difficile, tranne pochi casi isolati, incontrare l’eccesso, l’esubero che esita nella dipendenza. «Si riesce a rimanere sotto una certa soglia critica», conclude K. «I ragazzi utilizzano le droghe come “divertimento”, una scorciatoia per percepire emozioni, anche se a lungo termine si rivela una strategia dannosa. I giovani si servono delle sostanze come una specie di collante sociale, un modo per rimanere uniti, avere un denominatore. A livello cognitivo sono consapevoli dei rischi, a livello pratico perseverano nel consumo».

Finiamo il nostro viaggio: impossibile in un articolo descrivere l’etica, le spiegazioni e le conseguenze dell’uso di sostanze. Ma, come rimediare? Tutti i ragazzi che abbiamo ascoltato concordano nel ritenere che la repressione non servirà ad attenuare il fenomeno. Serve piuttosto ascolto. Eppure dev’essere chiaro – come pare non essere – che non mancano i rischi neurologici, emotivi e cognitivi: il consumo ricorsivo di sostanze incide irreparabilmente, spingendo verso gravi arresti dello sviluppo o psicopatologie, riduzione della capacità empatica e delle potenzialità in genere.

Matteo Viberti

L’identikit: Hashish, cannabis e finte “leggere”

StupefacentiLa mescolanza di sostanze caratterizza la metodologia di consumo di droghe dei più giovani, come ha anche dichiarato Giuseppe Sacchetto (vedi intervista) del Servizio tossicodipendenze di Alba. E si pensa – per restare alla cronaca recente – che Amy Winehouse, da molti definita la più grande cantante soul contemporanea, sia stata stroncata proprio da questa attitudine al mixaggio. Restringendo il campo, vediamo come tra le droghe maggiormente diffuse figurino l’hashish e la cannabis, considerate “leggere” per via degli effetti moderati prodotti sullo stato fisico e mentale. Si tratta di agenti psicotropi derivati dalle infiorescenze femminili della pianta comunemente chiamata canapa.

Hashish e cannabis si assumono principalmente per via respiratoria e producono effetti di rilassamento, lieve alterazione dello stato di coscienza, euforia, amplificazione delle esperienze sensoriali ed estatiche. A lungo termine, possono però condurre ad appiattimento affettivo, disturbi neurologici e psicopatologici. Infatti, le droghe “leggere” sono da alcuni considerate come il maggior attivatore dei processi psicotici normalmente presenti in ognuno, dunque faciliterebbero l’emersione di sintomi di derealizzazione, spersonalizzazione e depressione.

Tra le droghe pesanti maggiormente diffuse troviamo invece l’ecstasy, nome popolare del Mdma: si tratta di una sostanza assumibile in pastiglie o cristalli. Gli effetti prodotti sono euforia, sensazione di pace verso gli altri, gli oggetti e il mondo in genere, diminuzione dei livelli di stress, attenuazione della stanchezza e della percezione del peso corporeo. La composizione delle anfetamine e delle metanfetamine è sovente alterata rispetto alla loro struttura originaria o “naturale”. Il mercato nero, infatti, provvede a “tagliare” le sostanze con altri materiali – spesso nocivi – in modo da incrementare i profitti.

Altra sostanza diffusa è la cocaina: la polvere bianca – ritrovata in esorbitanti quantità dalle rilevazioni effettuate saltuariamente nei fiumi delle grandi città italiane – è da molti considerata come un “sintomo” della modernità secondo politici, imprenditori, giovani, lavoratori d’ogni risma ed estrazione sociale. Il senso di euforia, il volatilizzarsi della fatica, la percezione di robustezza fisica e mentale rendono la cocaina seducente, tanto che l’assuefazione e la conseguente dipendenza sono patologie sociali in rapida espansione. Infine, c’è da considerare che, mentre il consumo di alcol è legale, quello di droga è sanzionato dal sistema legislativo italiano. Perciò il consumatore di sostanze stupefacenti, sovente in maniera inconsapevole, finisce per contribuire alla criminalità e a quelle forme di commercio “nero” sempre più potenti e deleterie per il nostro Paese.

m.v.

4 DOMANDE a Giuseppe Sacchetto (Servizio tossicodipendenze dell’Asl Cn2)

Amy Winehouse, vittima illustre delle drogheParliamo con Giuseppe Sacchetto, responsabile del Servizio tossicodipendenze dell’Asl Cn2 Alba-Bra.

1. Secondo lei, esiste il problema “droga” a livello cittadino? Se sì, saprebbe quantificarlo?

«Il problema esiste, sicuramente. Parlo di tutte quelle situazioni non definibili come tossicodipendenza, ma che si limitano al consumo più o meno sporadico. Sono parecchi i giovani che fanno uso di droghe leggere. Impossibile quantificare: il fenomeno rimane sommerso. Quello che sappiamo arriva dalla Commissione medica locale e dalla Prefettura, dai dati riguardanti le persone alla guida sotto l’effetto di sostanze. Dunque, le statistiche arrivano in maniera indiretta, a partire dal comportamento stradale e non dall’assunzione diretta. Si può dire, comunque, che i numeri sono consistenti».

2.Lei dice che siamo di fronte a qualcosa di differente dalla tossicodipendenza. Che cosa intende?

«Soprattutto per quanto riguarda le fasce anagrafiche più giovani, l’assunzione di sostanze è più simile al comportamento esplorativo, inserito in dinamiche di tipo amicale. Poi, a lungo andare, emergono i sintomi. Gli individui finiscono per rivolgersi a servizi come il nostro anche cinque, sei, dieci anni dopo i primi consumi».

3. Di che tipo di droghe stiamo parlando?

«Oltre alle droghe leggere, a livello cittadino sono parecchio diffuse sostanze come l’ecstasy o la cocaina. Per due ragioni, tuttavia, è impossibile ridurre il fenomeno a una singola categoria. Innanzitutto, dobbiamo considerare la diffusione capillare dell’alcol, che appare una variabile costante (e aggravante) nel comportamento a rischio dei giovani. Il secondo motivo è rappresentato dalla predisposizione a “mescolare” diversi tipi di sostanze: ciò rende complicato formulare una diagnosi uniforme e generalizzabile all’intero contesto urbano».

4. Come agite per opporvi al fenomeno?

«Il nostro compito è prevenire, effettuare interventi di sensibilizzazione e informazione nei molteplici contesti di vita dei ragazzi. Agiamo con una prospettiva a lungo termine, per evitare di ritrovarci con nuovi pazienti».

m.v.

L’edonismo al posto di papà

Pietro BoffiPietro Boffi, sociologo del Cisf: «Gli adulti non sono capaci di rappresentare una guida autorevole»

Parliamo con Pietro Boffi, sociologo, ricercatore, autore di numerosi saggi e responsabile del Centro documentazione del Cisf (Centro internazionale studi sulla famiglia) di Famiglia Cristiana. Con lui indaghiamo quel fenomeno che potrebbe essere definito “droga sociale”, ossia l’assunzione di sostanze stupefacenti a scopo evasivo, ricreativo o dimostrativo.

Che cosa pensa del fenomeno della “droga sociale”, Boffi?

«Più che “sociale” la definirei “culturale”. All’inizio, la droga aveva una funzione di ribellione, di contestazione di un ordine politico e sociale indesiderato. Poi, con il passare degli anni, si è trasformata nella tossicodipendenza “dura”, incarnata in individui avulsi dal contesto sociale e ad alto rischio di mortalità. Oggi gli stupefacenti sono assunti in maniera sporadica e apparentemente compatibile con la vita quotidiana. I giovani consumatori continuano a studiare e lavorare. La droga è entrata a far parte della loro cultura, o meglio, della cultura dello “sballo”».

Che cosa significa? Quali sono i connotati di questa attitudine?

«Si tratta di una credenza che suona così: se non mi “sballo”, non mi diverto. Una sorta di edonismo fine a se stesso, emerso anche a causa dell’assenza di valori trasmessi e della scarsa importanza attribuita ai giovani. A livello sociale, i ragazzi sono deresponsabilizzati, esclusi da ogni pratica o protagonismo. L’unico diritto che viene loro concesso è quello al divertimento: poi, si generano queste perversioni del comportamento ».

Insomma, la colpa è anche del contesto nel quale i giovani si trovano a vivere.

«Indubbiamente. Il luogo comune dice: si assumono le droghe perché si imita il comportamento del gruppo. Vero, ma dobbiamo aggiungere che questa “ipertrofica” importanza assunta negli ultimi anni dal gruppo di pari deriva da una mancanza di confini generazionali. Se prima certi comportamenti dei figli erano etichettabili come protesta o conflitto con i genitori, ora questa conflittualità non esiste più. Gli adulti – il padre, ad esempio – non sono capaci di rappresentare una fonte autorevole, di offrire una struttura di sostegno e di veicolare il senso del limite. Dunque, non stimolano il conflitto, sono più “trasparenti”, marginali. Il gap generazionale è sparito: i ragazzi, per reazione, si appoggiano alla rete amicale e deviano più facilmente in comportamenti a rischio».

m.v.

Un arresto ogni venti giorni

Nicola RicchiutiPer il capitano Nicola Ricchiuti la nostra area non mostra una situazione di allarme

Che cosa succede ad Alba? Lo chiediamo anche al capitano della Compagnia albese Nicola Ricchiuti, il quale può vantare un osservatorio molto attento sul fenomeno.

La vostra prospettiva di osservazione sul fenomeno “droga” è ovviamente differente da quella dei servizi sanitari. Come stanno le cose ad Alba, capitano Ricchiuti?

«Da inizio anno abbiamo effettuato nove arresti per possesso di sostanze stupefacenti, un dato in linea con quello degli anni precedenti. Non assistiamo dunque a recrudescenze o peggioramenti, i livelli di spaccio si attestano su valori accettabili, tali da escludere una situazione di allarme. Se poi paragoniamo Alba a realtà come l’astigiano o il torinese, le statistiche risultano ancora più confortanti».

Quali sono le droghe che vanno per la maggiore?

«La cocaina è un ottimo candidato. Poi le droghe “leggere”: ricordo che due anni fa sequestrammo un’intera piantagione di canapa proprio in città. Siamo incappati anche in un carico di ketamina, un anestetico dissociativo usato a scopo veterinarioma anche umano, abitualmente assunto dai ragazzi durante i rave party. Ovviamente, il nostro punto di vista è parziale, perché il consumatore di certe sostanze, come quelle sopra menzionate, non mostra segni o sintomi visibili durante la vita “ordinaria”. Per cui, a meno di non scoprire direttamente il reato, non esiste modo di individuare ed eventualmente vigilare sulla persona».

Insomma, secondo lei non ci si deve preoccupare eccessivamente.

«Diciamo di no, per quanto riguarda la nostra area di competenza. Lasciando perdere gli spacciatori, infatti, anche i consumatori che segnaliamo sono, più o meno, sempre gli stessi. Sono i servizi sanitari e assistenziali che conoscono il fenomeno sotto un’altra prospettiva, sicuramente da tenere in considerazione e da affiancare a quella delle Forze dell’ordine, in quanto più indicativa a livello epidemiologico».

m.v.

Foto del servizio: Ansa, Kangaris, Marcato

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