Voglio un fegato sano

«Hot topics in epatologia »: questo il tema del corso rivolto ai medici di famiglia che si è svolto di recente a Pollenzo. Le patologie che fanno parte di quest’ambito sono varie e spesso sono proprio i medici di famiglia a diagnosticarle per primi. Abbiamo affrontato l’argomento con il gastroenterologo dell’Asl Cn2 Riccardo Vanni, fra i relatori del corso.

Quali le più diffuse patologie del fegato?

«Sicuramente le epatiti virali di tipo B e C. Le due forme, dovute la prima al virus Hbv e la seconda al virus Hbc, evolvono sempre in forma cronica; ovvero degenerano in cirrosi e da questa in tumori al fegato. Prendendo in considerazione tutte le cause di danno epatico in Italia (dati del 2006) il 56% è legato a epatite C (2 milioni di persone), il 10% all’epatite B, il 6% all’alcol, il 12% all’alcol più epatite C e il restante 15% ad altre cause. Ad esempio esistono epatiti croniche dismetaboliche, dovute cioè ad alterazioni del metabolismo».

Come si scoprono queste patologie?

«Spesso in modo occasionale, perché, fino all’evoluzione in cirrosi, non danno sintomi. Si scoprono quindi in occasione di donazioni di sangue, interventi chirurgici programmati, accessi al pronto soccorso, esami di controllo. Il primo attore della diagnosi è proprio il medico di base, che deve individuare le possibili cause del danno epatico che hanno causato l’alterazione degli esami del sangue; un’anamnesi corretta del paziente deve valutare se le abitudini alimentari del paziente sono errate (a esempio una dieta con un eccesso di grassi e zuccheri), uso di alcolici nel presente e nel passato.

Agli esami del sangue segue una ricerca dei marcatori virali per escludere cause autoimmuni di danno epatico, ovvero altre forme come la cirrosi biliare primitiva, l’epatite autoimmune e la colangite sclerosante, oppure danni da accumulo di ferro o rame per escludere la presenza di emocromatosi o morbo di Wilson. Si valuta inoltre l’assetto lipidico emerso dagli esami per escludere quadri cronici di steatosi e steatoepatite non alcolica. Può seguire un’ecografia che dà le prime informazioni sul danno al fegato».

Un argomento del corso era proprio la diagnostica strumentale.

«Sotto questo aspetto la nostra Asl è all’avanguardia: siamo gli unici in provincia a effettuare la diagnosi e una valutazione nel tempo dell’evoluzione fibrotica di queste malattie con la tecnica dell’elastografia epatica con il fibroscan all’ospedale Santo Spirito di Bra».

Come si curano queste patologie?

«Per l’epatite B o C si usano farmaci antivirali che sono in grado di spegnere l’attività replicativa del virus. Per quanto riguarda il tipo B, si usa l’interferone e successivamente un’altra categoria di farmaci, gli analoghi nucleosidici come lamivudina, tenofovir, entecavir. Per quanto riguarda l’epatite C, sin dalla sua scoperta avvenuta nei primi anni ’90, viene utilizzato l’interferone, prima da solo poi associato alla vibavirina.

Negli ultimi anni si utilizza interferone pedilato, che dà tassi di risposta intorno al 50-60 percento. Di recente sono stati utilizzati inibitori della proteasi, boceprevir e telapravir, che da studi sperimentali dovrebbero dare una risposta migliore al virus, fino al 70-80 percento; ma questi farmaci sono commercializzati solo negli Stati Uniti, non ancora in Italia. Nelle forme di origine autoimmune si utilizzano farmaci come l’acido ursodesossicolico (Udca), cortisone e immunosoppressori ».

a.r.

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