«Sono nato in Alba il 1° marzo 1922 e in Alba vivo da sempre, a parte le lunghe assenze impostemi dal servizio militare e dalla lotta partigiana…». Il 1° marzo 2012, Beppe Fenoglio compirebbe – ancora, probabilmente, “in” Alba, come direbbe un anglofono – novant’anni. Un’età veneranda, ma non irraggiungibile: l’avevano toccata e superata, ad esempio, Giorgio Bocca e Oscar Luigi Scalfaro; li ha appena compiuti Mario Lodi, il maestro elementare che ha operato nella sua vita per reinventare una scuola sempre più aperta, libera, democratica. Figure pubbliche, più o meno note alla nostra attualità frettolosa, tra le quali, non solo per un fatto generazionale, ci sembrerebbe naturale ritrovare il nostro scrittore: sono uomini (e donne) che, da prospettive e culture diverse, non hanno mai perso di vista la libertà (per parafrasare il personaggio Pietro Chiodi sulla pagina de Il partigiano Johnny).
Fenoglio purtroppo è morto giovane (era il febbraio del 1963), nel pieno della maturità di uomo e scrittore: e sulla sua “fortuna” postuma, sul ritardo e sulla distrazione di gran parte della critica, sulla sua situazione di volontaria marginalità rispetto a una ufficialità letteraria fatta di premi e correnti, vetrine ideologiche o mondane, mode e militanze si sono spesi molti discorsi, più o meno approfonditi. Oggi Fenoglio compie novant’anni da scrittore ormai accolto nei manuali di storia della letteratura, nelle conversazioni letterarie (dove l’aggettivo “fenogliano” è qualcosa di riconosciuto), in percorsi turistici e manifestazioni culturali che a volte lo interrogano con intensa passione, altre volte lo espongono come una bandiera, una decorazione conveniente e obbligatoria. Là dove, per piacere e necessità, continua a essere favorevolmente ospitato, è sugli scaffali dei suoi lettori – che sono tantissimi e fedeli, con sempre nuovi giovani a ingrossarne le file. Giovani del resto sono i personaggi canonici di Fenoglio: Johnny, Milton, Agostino… per tacere dei bambini, straordinarie incarnazioni dello scrittore puro, che rendono possibili alcuni dei suoi racconti più belli. Ma – particolare decisivo – Fenoglio non mette in scena i suoi protagonisti pensando di doversi rivolgere per forza alla platea giovanile, ponendosi in condizione di superiorità; non sale in cattedra e neppure fa il “giovanilista”, non studia ammiccamenti da finto compagnone.
Beppe Fenoglio haun profondo rispetto per il suo lettore: lo tratta da pari a pari, chiedendogli una libera compagnia, una condivisione senza affettazioni, che a un giovane non può che risultare ideale, tanto da stabilire un rapporto di familiarità, di intima frequentazione, che può durare tutta la vita. Fenoglio lo si rilegge sempre: e ad apertura di pagina, si ritrova subito – in un dettaglio di stile, nel rapporto faticoso e inventivo, geniale, con la lingua – il senso della sua avventura creativa e della sua precisa vocazione di scrittore. Di scrittore «civile »: siamo affezionati a questa definizione di Pietro Chiodi, perché è alta ed esatta, e viene confermata con il passare del tempo, delle stagioni in cui la nostra vita (appunto) civile, la nostra integrità di persone umane, subisce attentati di ogni sorta, più o menoespliciti o decifrabili.
«Che farete ragazzi dell’Italia? », chiedeva l’ufficiale repubblicano a Johnny e Pierre che lo scortavano al traghetto sul Tanaro, il 10 ottobre 1944: «“Une petite affaire toute serieuse”, disse Johnny, e Pierre assentì con la sua inimitabile earnestness ». Una piccola cosa serissima: si ribaltava in due parole una cultura – quella fascista – che aveva esaltato con magniloquenza un Paese, anzi una “stirpe”, nascondendo con la pompa esteriore un midollo bacato e grottesco, educando all’illusione e reprimendo l’opposizione, il dissenso in nome di un culto superiore e indiscutibile. Una piccola cosa serissima è ciò che la generazione dei Fenoglio (che aveva pensato e combattuto per la libertà) desiderava fosse il nostro Paese: e se per molti versi, fortunatamente, si può testimoniare di singole persone e situazioni “piccole e serie”, dobbiamo ammettere che quanto a coscienza nazionale e moralità pubblica, a livello diffuso (nella classe dirigente come nei comportamenti quotidiani) stiamo ancora attendendo che il modello di piccolo (non roboante, non retorico, non sbruffone) e serio (moralmente attento, rispettoso degli altri, impegnato al futuro) metta radici definitive. Proviamo ad applicare il metro del “piccolo e serio” allo scenario nostro contemporaneo, a un Paese e a un sistema sociale ed economico che per decenni è stato fatto ubriacare di consumi, nella convinzione (indotta) che ciò corrispondesse all’unica forma di benessere misurabile e possibile. Basterebbe riferirsi al consumo del paesaggio e al dissesto idrogeologico del territorio, solo per fare un esempio, per chiedersi quanto quel metro sia mai stato applicato, e se dunque la earnestness di Pierre sia stata ripagata. Così, Beppe Fenoglio, che oggi compirebbe novant’anni e che vive letteralmente nei suoi libri per la sua onesta capacità di parlare a sempre nuovi lettori; Beppe Fenoglio scrittore civile ci è necessario come compagno e interlocutore, piccolo maestro che seriamente sperimenta con noi, come noi, attese, scoraggiamenti, delusioni, speranze, e in questa sua partecipazione umana ci mostra la possibilità di essere persone migliori.
Edoardo Borra