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Alba nella TRAPPOLA del gioco

SOCIETÀ Il gioco è “un fine”, è strumento per arrivare a nulla se non a se stesso. Ma in tempi di scarsezza economica, pure il gioco sembra subire quel processo di “monetizzazione”, che gli fa assumere caratteri di profitto. In Piemonte, ad esempio, dal 2005 al 2010 i pazienti affetti da ludopatia grave (derivata da giochi come Enalotto, slot machines, poker on line, eccetera) presi in carico dal sistema sanitario regionale sono passati da 166 a 821, con un incremento del 500 per cento.

Oggi questi “intrappolati dal gioco” rappresentano il 3,5 per cento dei pazienti con diagnosi da dipendenza. A questi si aggiungono altri 863 casi di livello secondario. Dal 2009 al 2010, invece, l’incremento è stato del 49 per cento: oltre il doppio in un solo anno. Pure ad Alba si assiste a una disarmante espansione: dal 2010 al 2011 i casi di ludopatia presi in carico nell’Asl Cn2 sono più che duplicati, passando da 16 a 33.

 Secondo l’Istat, nel 2011 gli italiani hanno speso nel gioco d’azzardo 80 miliardi di euro. Circa il 30 per cento in più dell’anno precedente e oltre il 400 per cento in più rispetto al 2003. Significa che ogni italiano “brucia” in un anno 1.300 euro per tentare la fortuna. Per il 2012 si prevede che la spesa per il gioco salirà a circa 130 miliardi di euro. Sono all’incirca sei manovre finanziarie.

Sulla base di queste premesse, la Regione ha appena annunciato una massiccia discesa in campo in ambito preventivo. In cantiere c’è un progetto di sensibilizzazione rivolto agli studenti piemontesi, da avviare nel venturo anno scolastico. È il delegato all’istruzione Alberto Cirio, che ha posto il problema all’attenzione del Consiglio regionale. Lo abbiamo incontrato, l’Assessore. Chiedendogli cosa ne pensa dell’epidemia in espansione a livello locale, anche sulla base della sua esperienza di albese. Ha spiegato Cirio: «Alba non si differenzia dalle altre città del Piemonte e purtroppo il fenomeno è presente anche da noi. C’è da dire che il benessere aiuta ad allontanare lo spettro del gioco, ma è importante mantenere alta l’attenzione. L’aumento dei casi nell’ultimo periodo lo dimostra».

L’Assessore collega poi le variabili economiche alla volubilità psicologica: «Proprio quando la crisi si fa sentire di più, aumenta tra le fasce deboli l’illusione della vincita facile, che rivoluziona la vita e risolve i problemi. Ma è un’illusione, appunto, che se degenera può diventare una dipendenza pericolosa».

Infatti, non sono da dimenticare le variabili “emotive”, oltre a quelle socio-economiche. Il gioco – nella sua attrattività e facilità di accesso – può diventare miraggio. Una lusinga verso cui dedicare ogni desiderio, un totem a cui ascrivere ogni possibilità di sopravvivenza, rinascita o salvezza.

Matteo Viberti

LA STORIA Un giocatore e i suoi occhiali

La sua è una storia «normale, nulla di eclatante», ci dice. Ma la normalità spesso è un vestito illusorio. Parliamo con Alessandro, 26 anni. Lo incontriamo in un bar del centro di Torino. Ci aspetta seduto al tavolino, con le mani incrociate e gli occhiali da sole, anche se fuori ci sono le nuvole. «Dev’essere la tenuta da lavoro», pensiamo, già conoscendo parte della sua storia. Alessandro si toglie gli occhiali. Il ragazzo è albese. Ogni tanto subaffitta un appartamento a Torino: lo usa «per studiare e per fare qualche festa con gli amici». Le spese dell’affitto, della bolletta e dei trasporti, insomma la vita nella sua praticità, Alessandro riesce a pagarsela con i propri guadagni “extra”, giocando a poker on line.

«Passo dalle tre alle quattro ore al giorno sui tavoli da gioco nei week-end e dopo il lavoro. Funziona così: ti iscrivi a un torneo a pagamento (la quota d’ingresso può variare da 50 centesimi a centinaia di euro). Altri utenti partecipano: si va in diretta, in modo interattivo. A seconda della tua collocazione nella classifica e della tipologia di community virtuale, puoi guadagnare punti, soldi, pass per accedere ai tornei reali, con giocatori “fisici”».

Alessandro non ha mai partecipato a questi tornei. Ci dice che l’anno scorso ha guadagnato, in tutto, circa cinquemila euro. Con un piccolo aiuto dei genitori, «riesco a vivere benissimo. Non ho bisogno di altro». Gli chiediamo da dove giunga la sua passione. Ci risponde: «Non saprei». Dopo un attimo di silenzio: «In verità, avevo un amico. Anzi, ho un amico con cui vivo tuttora a Torino. Si chiama Matteo. Circa cinque anni fa, a inizio università, aveva bisogno di profitti facili. Così, ha comprato qualche Gratta e vinci, cominciato a giocare alle slot machines. All’inizio vinse qualcosa, ma il saldo tra spesa e guadagno era comunque negativo. Ricordo che in poco tempo Matteo perse circa mille euro, ma non fu questo fallimento a lasciare in me un’impronta duratura. Piuttosto, fu il trasporto con cui giocava. A vederlo lì, nei tabacchini o proprio in questo bar, piegato come un lampione sui tasti della macchinetta, mi dicevo: “Wow, se questa euforia fosse qualcosa di più adulto, potrei raggiungere grandi traguardi. Allora ho cominciato a giocare, facendo attenzione a non cadere nel trabocchetto: se perdo, chiudo il computer».

Alessandro si alza e si rimette gli occhiali. Chiediamo: «A cosa ti servono gli occhiali al computer? Gli altri possono mica vederti». Lui risponde: «Saranno la mia maschera. Una specie di confine, con cui separo la mia identità di persona da quella di giocatore».

m.v.

L’inferno della slot machine

L’INTERVISTA Parliamo con Maurizio Coppola, psichiatra del Sert (Servizio per le tossicodipendenze) dell’Asl Cn2.

 Il gioco d’azzardo è una “peste” sempre più capillare. Quanti i pazienti dell’Asl Cn2 di Alba-Bra?  «L’anno scorso abbiamo avuto in carico 40 pazienti, di età compresa tra i 18 e i 65 anni. C’è un gap poco significativo tra maschi e femmine. Ma al Sert arrivano situazioni già molto compromesse dal punto di vista economico».

Che cosa intende?  «Le persone che si fanno “curare” sono arrivate al limite, hanno perso tutto. Abbiamo pazienti che si sono giocati centinaia di migliaia di euro alle slot machines o ai Gratta e vinci, le due modalità di gioco patologico più diffuse».

 Come aiutarle?  «Esistono associazioni che erogano finanziamenti ai pazienti per coprire una parte dei debiti. Altre volte viene assegnato un amministratore di sostegno che “organizza” il patrimonio residuo».

E dal punto di vista psicologico?  «Dipende dalla tipologia di paziente. C’è chi gioca per il guadagno e chi gioca per giocare, per “provare emozioni”. È il cosiddetto sensation seeking, un processo che interessa chi si sente vuoto e ha bisogno dell’azzardo per sentirsi vivo. Ad esempio, alcuni dei nostri pazienti rimanevano fino alle 15 ore al giorno davanti a una slot machine. Sovente soffrivano di disturbi dissociativi: non ricordavano più chi erano, si perdevano nel gioco. Il percorso dev’essere calibrato sulla situazione».

Considerando la criticità economica, che cosa ne sarà dei giocatori d’azzardo?  «Temiamo un’inondazione di nuovi pazienti. La crisi spinge le persone deboli a credere nell’esistenza di cure veloci e miracolose, senza dimenticare il fatto che quella del gioco d’azzardo è una delle più grandi aziende dello Stato. La pubblicità e la promozione dell’azzardo, a cui quotidianamente assistiamo, non aiutano a debellare il fenomeno».

m.v.

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