La VERITÀ contro le mafie

Gazzetta al master di giornalismo organizzato in Sicilia dalla Federazione dei settimanali cattolici

REPORTAGE Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani, impegnati con tutte le forze a difendere la vita del magistrato Giovanni Falcone, non immaginavano che svolgendo “semplicemente” il loro lavoro avrebbero dato un impulso decisivo nella lotta dello Stato contro la mafia. Oggi i loro nomi, insieme a quelli di Falcone e di sua moglie Francesca Morvillo, campeggiano sulla stele eretta a Capaci, nel luogo in cui il 23 maggio 1992 Cosa nostra fece esplodere cinque quintali di tritolo per mettere per sempre a tacere chi aveva deciso di far emergere la verità. Questa missione a favore della legalità continua a essere portata avanti da decine di procuratori, magistrati, commissari, agenti ma anche giornalisti.

OLTRE LE MAFIE

Consapevole di quanto l’informazione sia importante in questo ambito, la Fisc (Federazione che riunisce i circa 200 settimanali cattolici italiani) ha organizzato dal 20 al 23 settembre, a Siracusa, Salemi e Palermo, la ventunesima edizione del master di aggiornamento, dedicato alla memoria dell’ideatore dell’iniziativa don Alfio Inserra, ai trent’anni del settimanale diocesano di Siracusa Cammino e ad approfondire le questioni legate alle mafie. Abbiamo partecipato anche noi di Gazzetta, tornando con la consapevolezza che il sentiero tracciato dal beato Giacomo Alberione sia quello giusto. Il fondatore della Famiglia paolina, nel suo ruolo di comunicatore sociale, ha sempre sostenuto che un giornale cattolico debba, partendo dal Vangelo, parlare di tutto, quindi anche di tematiche “scomode”, in modo da portare alla luce la verità.

MORIRE DI MAFIA

Una delle storie che più ci ha colpito è quella di Mario Francese, giornalista assassinato brutalmente dalla mafia il 26 gennaio 1979 per aver “ficcato il naso” dove non avrebbe dovuto. La sua vicenda ci è stata raccontata dal figlio Giulio, anch’esso cronista, che ha spiegato di aver lottato per più di vent’anni affinché il padre ucciso e la sua famiglia potessero avere giustizia. Alla fine, giustizia, in parte, è stata fatta, non senza ulteriore sofferenza, dato che l’altro figlio di Francese, Giuseppe, ha deciso, qualche anno fa, di togliersi la vita per riaccendere i riflettori su un caso che rischiava di perdersi nel dimenticatoio.

IL VANGELO

A percorrere la strada della legalità e della verità sono anche tanti sacerdoti, come don Giuseppe Puglisi, parroco siciliano assassinato dalle cosche mafiose il 15 settembre 1993 e presto beato. La sua testimonianza più significativa vive nella parrocchia San Gaetano di Brancaccio, quartiere “a rischio” di Palermo, dove padre Pino, nonostante le minacce e il dilagare della malavita, ha realizzato a pieno la sua missione, portando anche nelle case più difficili la Parola di Dio, ponendo l’accento sui valori dell’uomo onesto e dimostrando che illegalità e criminalità non hanno nulla a che fare con i princìpi cristiani.

LA SPERANZA

Fin qui abbiamo parlato di una Sicilia difficile, a volte anche povera al limite del degrado, nella quale, come ha riferito il magistrato presidente del Tribunale di Bologna Roberto Alfonso, mafia, corruzione e collusione dilagano ancora in ogni settore. La Sicilia, però, e lo abbiamo toccato con mano, è anche una terra calorosa, accogliente, ricca di folklore e bellezze naturali e artistiche, che ha tanto da offrire e che, nonostante le ombre che nascondono la verità, ha voglia di andare oltre le mafie, sapendo di poter contare su giornalisti, sacerdoti e gente comune che ogni giorno va al lavoro convinta di poter far trionfare la legalità o, semplicemente, di poter regalare ai propri concittadini e all’Italia intera un briciolo di speranza.

Enrico Fonte

IL PERSONAGGIO Don Francesco, il prete che combatte in prima linea

Don Francesco Fiorino è un parroco che nella sua normalità sa essere straordinario. Ha scelto di realizzare un progetto difficile, ambizioso e pericoloso: liberare la Sicilia dalla mafia. L’essenza della sua personalità è sintetizzata nel logo della fondazione San Vito onlus di Mazara del Vallo (www.fondazionesanvito. it): una barca che naviga grazie a una vela arrotolata issata sull’unico albero maestro. Per lui, il sacerdote cristiano deve saper promuovere una fede non solo parlata ma anche testimoniata da esempi, volti a dare fiducia alle persone, aiutandole a riscattarsi e a credere nelle istituzioni. Tra gli esempi che la fondazione San Vito dà ci sono le iniziative di accoglienza ai bisognosi e di integrazione degli immigrati e la gestione e il riutilizzo di alcuni beni confiscati alla mafia. È proprio in uno di questi beni sottratto ai mafiosi che Gazzetta ha incontrato don Francesco. Si tratta di una sorta di agriturismo, che offre alle persone in difficoltà un punto di riferimento e ai visitatori le eccellenze enogastronomiche, coltivate proprio nei luoghi che fino a pochi anni fa erano in mano ai boss. Il piccolo complesso turistico, che propone anche laboratori didattici nell’aula dedicata alla memoria di Paolo Borsellino e attività finalizzate all’educazione alla legalità, si trova tra le colline di Salemi (Trapani), presso le quali la fondazione San Vito cura diversi vigneti, realizzando la vendemmia della legalità.

Don Francesco, non ha paura della mafia?

«La paura c’è, ma chi non l’avrebbe?».

Come si fa a portare avanti una missione così rischiosa?

«L’importante è non lasciarsi imbrigliare da paure e da pressioni, continuando a operare a favore della legalità. Bisogna vivere la propria vita come se fosse tutto normale, senza rinunciare al progetto che si sta portando avanti».

Non ha mai pensato di mollare?

«E perché dovrei farlo? Sto facendo la cosa giusta e rinunciarvici significherebbe arrendersi di fronte alle difficoltà e darla vinta a chi fa del male».

Un consiglio per chi, attraverso i giornali cattolici e no, cerca di far emergere legalità e verità?

«Non perdersi d’animo, non arrendersi e continuare a lottare».

 e.f.

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