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MADRI in tempo di crisi

LA STORIA La paura è emozione antica. È utile quando avvisa di un pericolo, inutile quando eccessiva e costante, quando congela e irrigidisce. Marina, 51 anni, madre di tre figli e moglie da 26 anni, ha scelto la paura “costruttiva”. Quella che le consente di rimanere vigile, di comprendere il momento storico che sta vivendo e di utilizzare la criticità a fini di crescita. La incontriamo nella sua abitazione di corso Europa, ad Alba, un piccolo appartamento di 90 metri quadrati. In una stanza vivono i tre figli, ma uno di loro va all’Università e non si vede spesso. «Questa ristrettezza di spazio ci costringe alla prossimità: sovente litighiamo, ma ci vogliamo bene. Siamo una grande squadra», dice sorridendo. Sediamo alla scrivania, nel salotto. Due giorni prima avevamo telefonato, chiedendole se fosse disposta a raccontare la sua storia di quotidiana amministrazione di una famiglia. Per capire che cosa vuol dire essere madre in tempo di crisi. Quella di Marina, infatti, sembra una famiglia rappresentativa dei nuclei medi albesi. Padre impiegato, madre operaia, un figlio liceale (di 17 anni) e due universitari (di 21 e 25 anni). Una storia di sacrifici e di dedizione e pure di sogni di tranquillità e sicurezza mai del tutto esauditi.

I CONTI Marina apre un grande quaderno di pelle nera. Su ogni pagina c’è scritto in indelebile rosso il nome di un mese. Sotto, le spese. «Tra i costi ordinari ci sono circa 500 euro di affitto per le case a Torino dei miei figli, 100 euro di luce, 40 di gas, 200 euro tra Internet, telefoni fissi e telefoni cellulari, 200 di riscaldamento e spese condominiali. Poi, circa 700 euro di alimentari: andiamo al supermercato ogni fine settimana», racconta Marina. Solo con queste spese la famiglia “brucia” lo stipendio da impiegato del marito: circa 2.000 euro. «E meno male che la casa è di proprietà », sospira la donna.

GLI EXTRA La retribuzione da operaia di Marina – 1.300 euro al mese – svanisce in spese straordinarie: 200 euro per l’abbigliamento, il bollo e l’assicurazione dell’auto, 200 euro per la benzina, una media di 300 euro per oculista, dentista e dermatologo. Il resto confluisce in piccole vacanze di due o tre giorni al mare: una volta a Natale, una a giugno e due ad agosto. «Se non ci fossimo ritagliati questi spazi di tregua saremmo “esplosi”», assicura Marina.

LA VITA Continua la donna: «Tra me e mio marito portiamo a casa 3.500 euro, contando la tredicesima e la quattordicesima. Riusciamo ad arrivare a fine mese, ma non possiamo certo pensare di andare al ristorante. Procrastiniamo gli “sfizi e i vizi” a un futuro che speriamo prossimo, a quando i figli saranno autonomi. Non abbiamo paura: attorno a noi c’è una rete sociale che, lo sappiamo, ci aiuterebbe in caso di necessità. La crisi è anche questo: possibilità di allacciare legami altrimenti impensabili. E poi, ho acquisito una capacità matematica davvero straordinaria», scherza alla fine Marina.

LA RIVINCITA Ce ne andiamo con una consapevolezza: essere madri di questi tempi non è questione semplice. È un “mestiere” fatto anche di combattività, di fiducia, di una fiera rivincita fatta di quaderni in pelle nera, indelebili inchiostri rossi e calcolatrici.

Matteo Viberti

ISTAT Il potere d’acquisto diminuisce del 4,1

Il potere d’acquisto delle famiglie italiane, tenuto conto dell’inflazione, si è ridotto dell’1,6 per cento nel secondo trimestre dell’anno: ma la contrazione su base annua del potere d’acquisto arriva al 4,1 per cento. In altre parole, le famiglie possono spendere meno, quindi “bloccano” l’economia nazionale e aggravano la crisi, alimentando un circolo vizioso senza fine. Un impasse che non si vedeva da dodici anni, ovvero dal 2000.

Lo ha comunicato l’Istat (Istituto nazionale di statistica) lo scorso 9 ottobre, diffondendo un rapporto allarmante. Secondo i dati, nei primi sei mesi del 2012 il potere d’acquisto delle famiglie ha registrato una flessione notevole innescando una gara al ribasso negli acquisti. Inoltre, il reddito disponibile è diminuito dell’1 per cento in confronto al trimestre precedente, e dell’1,5 rispetto al corrispondente periodo del 2011.

Più preoccupanti ancora i dati sulle persone senza dimora, che nel Paese sono oltre 47 mila. In misura maggiore si tratta di uomini (86,9 per cento) con meno di 45 anni (57,9 per cento) e di origine straniera (59,4 per cento). Questo popolo di marginalizzati, di vittime sacrificali della recessione, appare anche svantaggiato sul piano dell’istruzione, dato che il 64 per cento possiede al massimo la licenza media inferiore. I “senza tetto” vivono in prevalenza al Nord (38,8 per cento) e nelle grandi città. Il 28,3 per cento lavora a termine o saltuariamente, con un guadagno medio pari a 347 euro mensili. Come osserva l’Istat, la perdita del lavoro (evento che riguarda il 55,9 per cento dei senza dimora) si configura come una delle cause d’innesco più rilevanti rispetto al percorso di progressiva emarginazione. Anche la separazione dal coniuge gioca un ruolo cruciale (54,4 per cento): i guai cominciano soprattutto per le donne rimaste senza marito.

L’ultima riga del triste romanzo nazionale riguarda la disoccupazione, che ad agosto ha toccato quota 10,7 per cento, mentre gli “scoraggiati” – ovvero quanti hanno rinunciato a cercare lavoro, perché convinti di non riuscire a trovarlo – hanno raggiunto il milione e 600 mila. Numeri preoccupanti, che sembrano interessare anche l’albese (vedi interviste). La lettura delle statistiche però, suggeriscono gli analisti, non dovrebbe sfociare in conclusioni frettolose,ma nella disponibilità ad accettare una consapevolezza, ovvero che il sistema politico, finanziario e commerciale preserva i privilegi di pochi a discapito di molti. E che il suo scricchiolio diventa oggi ripensamento.

m.v.

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