Gaudium et Spes

LA RILETTURA DI UN EVENTO STRAORDINARIO DA PARTE DI MONS. SEBASTIANO DHO, VESCOVO EMERITO DI ALBA

Proseguendo nella presentazione dei problemi più urgenti visti nell’ottica della fede, dopo la famiglia e la cultura, il testo conciliare della Chiesa nel mondo contemporaneo, Gaudium et Spes, tratta abbondantemente della “vita economica-sociale” dal n. 63 al n. 72. A prima vista potrebbe sembrare questo un tema troppo terreno, quasi unicamente materiale, ma in effetti non è così, perché, come si vedrà, tocca direttamente le persone, le famiglie e ne condiziona la vita anche profondamente. Tenuto conto dell’ampiezza, complessità e anche continua evoluzione delle situazioni in questo campo ormai mondiale “globalizzato”, cercheremo di esporre almeno i grandi princìpi e le indicazioni di impegno in due momenti: l’uomo e le realtà economiche in atto e in sviluppo; la destinazione universale dei beni e la sua effettiva realizzazione.

L’uomo al centro sempre prima dei beni materiali

Il Concilio inizia la sua riflessione magisteriale su questo scottante tema con una solenne affermazione di principio che costituisce, per tutti, il punto di riferimento inderogabile in ogni questione relativa ai beni materiali. «L’uomo è l’autore, il centro, e il fine di tutta la vita economico-sociale » (GS 63). Basterebbe questa affermazione per dare subito la risposta giusta a ogni interrogativo in merito alle tante questioni in questo delicato e importante ambito della vita quotidiana, poiché come continua sempre la Gaudium et Spes «anche nella vita economica-sociale sono da tenere nel massimo rilievo e da promuovere la dignità della persona umana, la sua vocazione integrale e il bene dell’intera società». Dunque in base a questi enunciati irrinunciabili, è da condannarsi ogni impostazione economica che ponga prima dell’uomo il profitto, la speculazione, lo sfruttamento del lavoro, tutti frutti di una mentalità economicistica (materialistica) tipica, comenota espressamente il Concilio, sia del sistema collettivistico sia capitalista; la Gaudium et Spes condanna poi senza appello chi mantiene gli uomini «in condizioni di vita e di lavoro indegne di una persona umana» (GS 63).

In sintesi, il testo enuncia tre grandi criteri di valutazione che a loro volta comportano altrettante piste di impegno per i cristiani in materia economica: lo sviluppo economico a servizio dell’uomo (GS n. 64); lo sviluppo economico sotto il controllo dell’uomo (GS n. 65); occorre far scomparire le ingenti disparità economiche- sociali (GS n. 66).

Come è facile comprendere, il principio comune a queste sacrosante affermazioni è sempre lo stesso; i beni, tutti e di tutti, devono essere ordinati e subordinati alle persone, in modo tale che non solo possano usufruirne in modo equo ma siano esse stesse a decidere in merito allo sviluppo che non può e non deve essere visto come qualcosa di automatico senza regole morali o volto a una crescita di beni materiali indefinita, provocando consumismo per chi può! E distruggendo il creato. Quasi a coronare e completare questa prima riflessione sulla centralità e priorità dell’uomo sui beni, il Concilio specifica bene circa il rapporto uomo-lavoro: «Il lavoro umano con cui si producono e si scambiano beni o si prestano servizi economici è di valore superiore agli elementi della vita economica, poiché questi hanno solo valore di strumento »(GSn. 67). L’importante affermazione non è altro che la diretta conseguenza del principio di fondo: la superiorità dell’uomo sulle cose per cui il lavoro di una persona non è quello di una macchina! Questo fa giustizia di ogni forma di capitalismo, e neoliberismo che mette prima l’impresa o il profitto e poi i lavoratori.

I beni della terra destinati a tutti gli uomini

Questa seconda grande tematica è di estrema attualità soprattutto oggi perché stabilisce un principio decisivo per una lettura cristiana al riguardo storicamente molto condizionata e spesso stravolta. Le affermazioni conciliari sono chiare, nette, severe: «Dio ha destinato la terra e tutto quanto contiene all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli e pertanto i beni creati debbono essere partecipati equamente a tutti, secondo la regola della giustizia, inseparabile dalla carità » (GS n. 69); dunque Dio ha creato i beni per tutti ma senza distribuirli direttamente; questo compito lo ha affidato a noi perché procedessimo seguendo due virtù: la giustizia (non tutto o quasi a qualcuno e poco o nulla alla maggioranza) e la carità (attenzione ai deboli, ultimi, non in grado di provvedere a se stessi). Un modo, ma non è il solo, di attuare questa giusta distribuzione è quello della cosiddetta proprietà privata ma, attenzione!, a patto che questo sistema che resta sempre un mezzo e non un fine (destinazione universale per tutti) riesca di fatto a far sì che tutti giungano a una giusta proprietà personale e familiare. Questa è la corretta impostazione non l’assolutizzazione del dominio privato, senza limiti o regole. «L’uomo usando questi beni deve considerare le cose che legittimamente possiede non solo come proprie, ma come comuni nel senso che possano giovare non unicamente a lui, ma anche agli altri » (GS n. 69). La proprietà privata cioè ha anche e sempre una funzione sociale come riconosce pure la nostra Costituzione italiana, tutta impostata in modo personalistico e solidale (altro che “sovietica” come qualche nostro governante pretenderebbe!). Viene da pensare a quanto avviene a livello mondiale e non solo là dove domina ancora il latifondo chiaramente condannato dalla GS n. 71, ma dove il 20% delle popolazioni detiene l’80% dei beni e ovviamente l’altro 80% deve vivere, meglio tentare di sopravvivere con il rimanente 20%di risorse, e ancora, situazione più grave, nella civilissima (cristiana?) Italia, dove il 10% dei cittadini possiede il 50% della ricchezza nazionale e ogni pur timido accenno a una tassa “patrimoniale” suscita immediatamente scandalo e accuse di “sovversione” da parte dei ben pensanti, compreso ahimè! un certo mondo sedicente cattolico: è evidente che questo sistema grida vendetta al cospetto di Dio, perché direttamente in contrasto appunto con il principio della destinazione universale dei beni espressamente voluta dal Creatore, e che nessun eventuale titolo di diritto positivo umano può giustificare, perché oppressivo dei poveri.

A conclusione di questa troppo rapida corsa tra testi conciliari molto seri, concreti, su questa tematica attualissima e sempre scottante vogliamo ricordare con le parole stesse della Gaudium et Spes il compito specifico dei cristiani in questo ambito apparentemente poco spirituale: «I cristiani che partecipano attivamente allo sviluppo economico- sociale e alla lotta per la giustizia e la carità siano convinti di poter contribuire molto alla prosperità del genere umano e alla pace del mondo. In tali attività, sia che agiscano da singoli sia pure come associati, brillino per il loro esempio. Chi segue fedelmente Cristo cerca anzitutto il Regno di Dio e vi trova un più valido e puro amore per aiutare i suoi fratelli e per realizzare, con l’ispirazione della carità, le opere della giustizia» (GS n. 72).

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