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Roberto Saviano: «La mafia si nutre di sfiducia»

BAROLO Colore e intrattenimento a Collisioni, ma non manca l’impegno sociale. Roberto Saviano, scrittore e cronista classe 1979, sabato ha risposto alle domande dei ragazzi del Progetto giovani dal palco principale di Barolo. Dal pubblico, tra stupore e ammirazione, un applauso continuo.

Descrivici il Roberto di tutti i giorni. Parlaci delle tue passioni, dei tuoi passatempi, al di là del lavoro.
«La musica – le playlist – mi hanno aiutato durante le infinite corse in macchina blindata, a tappe forzate. In generale ascolto le canzoni, gli artisti che parlano della vita, di come si sta al mondo: il rap mi piace molto, Fabri Fibra, Marracash, Co’ sang. Mi sono anche avvicinato alla musica classica. Alcune serie televisive, come Madman, che hanno superato il cinema attuale».

roberto_saviano_collisioni2013hQuanto è potente la scrittura?
«È stato arrestato – in Colombia, proprio sabato, ndr – Roberto Bebè Pannuzzi, broker di cocaina. Si tratta di un personaggio che fattura più delle famiglie Moratti e Agnelli. Pannuzzi pesa – in senso letterale – i soldi, perché solo chi non ha denaro li conta. Qualche anno fa l’imprenditore della droga fu condannato al carcere. Riuscì a farsi trasferire in una clinica e poi a fuggire. Lo Stato inizialmente fu disinteressato alla vicenda; era questione poco illuminata. Non appena si è cominciato a scriverne, a discuterne, è arrivato il suo arresto. Ho provato a pensare ai sentimenti che Bebè Pannuzzi prova prima di dormire. Per giustificare il suo lavoro sporco, risponderebbe: «Chi vende plastica è forse peggio di me». Pannuzzi è la borghesia del narcotraffico. Il primo obiettivo delle mafie è di dimostrare che siamo tutti uguali, tutti corrotti e corruttibili. Le mafie sono le prime a nutrirsi della sfiducia. La letteratura mette paura quando si illuminano determinate questioni in ombra. Alla criminalità organizzata fa paura chi legge, chi si informa, chi parla con i figli dei problemi».

La cronaca può svilire il contenuto del libro?
«Il mio genere è quello della no fiction novel, cioè del romanzo basato su fatti realmente accaduti. Scovo notizie dalle intercettazioni, interviste o testimonianze dei pentiti. La forza narrativa consiste nel mostrare qualcosa che è lontano. Questo tipo di lavoro – svelare ciò che accade in silenzio – genera fastidio anche nelle persone perbene. Ecco che scatta la delegittimazione e la diffamazione, come successe per padre Pino Puglisi: insinuarono che conservasse dosi di eroina. Si tende a distruggere l’immagine delle persone: diffamare è più semplice che elogiare».

Nel corso dell’incontro Roberto Saviano ha affrontato anche il tema della liberalizzazione delle droghe e dell’infiltrazione delle mafie nell’economia reale. Saviano ha ricordato come negli Stati Uniti gli ufficiali della Dea (l’agenzia antidroga) in pensione stiano costituendo delle associazioni per arrivare alla liberalizzazione degli stupefacenti. Il problema è la liquidità, la disponibilità di grandi masse di denaro, che permette al narcotraffico di condizionare fortemente l’economia, soprattutto grazie alla crisi. Senza più confini – Saviano ha citato gli acquisti dei boss in Grecia, come la penetrazione delle mafie nel Nord Italia «fin dagli anni Ottanta». Ormai, dice lo scrittore, non è più la criminalità organizzata che tenta di entrare in contatto con l’imprenditore, ma al contrario è quest’ultimo che, privato del credito in banca, può essere spinto a cercare la liquidità che viene offerta dai mafiosi: per salvare l’azienda (ma solo in apparenza) e magari i dipendenti. «La camorra o la ’ndrangheta», arrivano e per «prima cosa danno liquidità per pagare gli stipendi». Uno scenario drammatico quello tracciato da Saviano sul palco di Barolo. Concluso con messaggi di amore e speranza, tratti dalle sue letture preferite. L’ultima delle quali tratta da una lettera di Van Gogh al fratello: «Perso i soldi? Hai perso abbastanza. Perso l’onore? Hai perso qualcosa. Perso il coraggio? Allora hai perso tutto».

Marco Viberti

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