Farinetti: Alba è il modello da esportare nel mondo

Nel Bosco dei pensieri, con grandi scrittori che leggono capolavori

IL COLLOQUIO  «Mai, mai, mai arrendersi, never, never, never give up. Mai mollare, anche quando tutto sembra perduto. Se pensi di essere nel giusto devi resistere a ogni contrarietà, anche la più grave. Ma occorre distinguere gli obiettivi difficili, anche molto difficili, da quelli impossibili. Mettere tutta l’energia verso il difficile, ma non perdere tempo con l’impossibile».

oscar farinetti

Non è che l’ultima delle “sette mosse per farcela” anche di questi tempi che Oscar Farinetti ha pubblicato sull’edizione italiana dell’Huffington post diretta da Lucia Annunziata. Colpisce, perché è una ricetta forte, semplice da enunciare, molto meno da mettere in pratica. Niente altro in fondo che il distillato dell’educazione del buon piemontese. Che Farinetti la applichi si vede dai risultati. Per Eataly, ad esempio, il suo impero del gusto italiano che avanza nel mondo, l’uomo dell’ottimismo dice di aver avuto «fortuna», ma si sa che non deve aver mollato mai di un centimetro. La fortuna lui, Oscar, la cita da langhetto, seduto a tenuta Fontanafredda, due passi da Alba – che pure afferma di conoscere meno di Chicago – mentre attende uno dei suoi ospiti, per l’occasione Walter Veltroni. In un misto, molto albese, di orgoglio e ironia parla di buona sorte a pochi giorni dalla fama indotta dal New York Post, che ha piazzato, per illustrare il famoso morso di Suarez a Chiellini nella partita Italia-Uruguay al recente mondiale, proprio il nome della sua giovane creatura, Eataly, assurta a simbolo del Bel Paese.

 

Con Eataly è arrivato lontano, Farinetti?

«Abbiamo avuto fortuna, puntando sul prodotto giusto al momento giusto. C’era un buco pazzesco. L’enogastronomia italiana nel mondo è la più cool, la più richiesta, la più figa. Il nostro è un Paese piccolo ma è il più biodiverso al mondo. E non solo per il cibo. Per questo dobbiamo portare le nostre meraviglie a tutti. Ci stanno aspettando».

Dovremmo strafare, allora. Perché non succede?

«Siamo provinciali, siamo figli di Cristoforo Colombo e Marco Polo, siamo eroi solitari, non scambiamo idee perché ognuno pensa di avere la migliore. Abbiamo il record di brevetti e crediamo sia un bene. Invece siamo piccoli, ognuno rinchiuso nella sua corporazione. Vanno bene la moda, il design, ma possono crescere; l’agroalimentare può decuplicare, l’industria manifatturiera di precisione è un gioiello, ma può raddoppiare; abbiamo un patrimonio artistico e culturale unico al mondo, tutto da valorizzare. Insomma, siamo un disastro».

Ci blocca la politica?

«Non dobbiamo dare troppa importanza alla politica. Noi italiani siamo scadenti, i nostri politici sono scadenti».

Anche oggi?

«Oggi abbiamo un bel gruppo di giovani e donne».

Decollano?

«Ce la stanno mettendo tutta per cambiare, con il fardello dei soliti anziani che frenano. Perché danno consigli quelli che hanno 60 anni – come me – sono stati i protagonisti del disastro del Paese degli ultimi decenni, hanno consegnato al futuro miliardi di debiti e il 50 per cento di disoccupazione giovanile?».

Invece?

«Bisogna lasciare ai giovani la possibilità di cambiare passo. L’umanità sta andando in un altro mondo, in un’altra atmosfera. Non sarà più la società dei consumi, avremo un nuovo modello sociale, in cui la comunicazione avrà un ruolo fondamentale. Siamo nel pieno del cambiamento, non lo comprendiamo, ma dobbiamo permettere ai giovani di costruire il loro nuovo modello».

Lei lo ha fatto?

«Sì, i miei figli e altri bravi come loro stanno cercando di stare al passo con i tempi. Ma il Paese ha un peso enorme nel Sud, che non ha scelto la grande strada, il turismo».
 Maria Grazia Olivero

Ce la possiamo fare. L’Italia è destinata a decollare

Che fare per cambiare, Farinetti?

«Quando l’ho detto mi sono volati addosso. Facciamo del Sud una grande Sharm El Sheikh. A novembre in Sicilia si può andare in maniche di camicia. Apriamo alle grandi catene, mandiamo l’esercito, togliamo tasse, tutto, purché si dia lavoro».

Renzi fa abbastanza?

«Ha dato in pochi mesi due importanti segnali: gli 80 euro in busta paga e la riforma del lavoro. Ora servono altre due mosse, una fisica e una metafisica, coscienza civica e grandi esportazioni».

Come si crea la coscienza civica?

«Con i gesti forti, modello papa Francesco, il quale ha saputo tirar fuori la Chiesa dal pantano degli scandali, insieme al suo predecessore, papa Ratzinger, che si è dimesso. Abbiamo bisogno di gesti forti anche in politica. Aboliamo le regione autonome e stabiliamo 5 mila euro netti di stipendio a parlamentari, consiglieri regionali e sindaci delle grandi città, per esempio. Basterebbero alcuni gesti plateali a cambiare il clima e ridare fiducia al Paese».

Renzi come il Papa? Non è troppo?

«Matteo può fare gesti grandi. Ha coraggio. E deve farcela. Sta prendendo le misure per farlo, anche se Roma lo blocca».

E per le esportazioni?

«Occorrono ingenti sgravi fiscali per chi incrementa l’export e meno tasse sulle nuove assunzioni. Poi ce la faremo. Alba, ad esempio, è un modello da imitare, ha qualcosa che gli altri non hanno. Forse, ci siamo detti di recente con quel pazzo sognatore di Luciano Bertello, è il marin, il vento del mare, che ha creato un microclima diverso, contaminando le specie, non solo vegetali, e dando vita a personaggi straordinari, unici, irripetibili, come Pinot Gallizio».

Expo 2015, dopo gli scandali, è ancora un’opportunità?

«Vedo quello che non vede il novanta per cento delle persone. Quando sento le notizie degli arresti penso: finalmente li hanno presi. Arriverà molta gente per Expo, tanta da non sapere dove metterla. Nel mondo, quando qualcuno pensa di andare in vacanza all’estero pensa all’Italia. Abbiamo il 70 per cento di patrimonio artistico mondiale, le città più belle, il cibo, il clima. Verranno a Expo».

L’ottimismo non l’abbandona, quindi?

«L’ottimismo non è pensare che tutto vada bene, ma che tutto si possa risolvere. In attesa di cambiare il modello sociale vinceranno le nazioni a forte esportazione. E noi ce la faremo. Ho in mente tre numeri: 800 miliardi di spesa pubblica, 800 miliardi di consumi interni e 400 miliardi di esportazioni, che dobbiamo raddoppiare. Dobbiamo arrivare a 800, 800, 800».

Come si fa?

«Servono cinque anni di forte crescita dell’export. È un’impresa difficile, ma possibile. Mio padre mi ha sempre insegnato a leggere il confine tra il difficile e l’impossibile. È lì che si gioca la partita. Abbiamo risorse umane – lavoratori e imprese – domanda, know how. Ci manca una classe politica che aiuti. Dobbiamo impegnarci tutti invece di lamentarci. Andiamo a prendere i quattrini da altri Paesi per portarli in Italia. Sono tutti pronti a darceli».

m.g.o.

Nel triangolo  più fortunato del pianeta, passato dalla malora  a patrimonio dell’umanità

Per l’Italia ci vorrebbe un grande progetto, Farinetti?

«Ho fatto un tweet a Matteo Renzi. Gli ho detto: lascia la cultura a Franceschini, che è molto bravo, ma stacca il turismo, quello dallo a un romagnolo. Basta andare a vedere che cosa hanno fatto a Rimini, con il mare più brutto d’Europa, hanno una capacità di accoglienza “bestiale”. Esiste nel nostro Paese proprio questo, una grande capacità di fare, creare. Siamo i più bravi al mondo. E, ad Alba, viviamo nel triangolo più fortunato del pianeta. Langhe e Roero sono una terra benedetta, dove si è passati dalla malora al riconoscimento a patrimonio dell’umanità da parte dell’Unesco in un batter d’ali. Questa è una terra che in campo agroalimentare può raccontare una bella storia al mondo, come la stanno narrando molto bene i protagonisti del mito del Barolo, Ferrero, Eataly, Famiglia Cristiana. Abbiamo l’economia enoagricola più florida d’Italia. Tiriamo più della Toscana e ogni anno la Fiera del tartufo cresce. Non è fortuna: è perché siamo bravi. Così è per l’Italia, dal Piemonte all’Emilia. Ma, poi, arrivi da Roma in giù. Ed è un altro pianeta, anche se no, non serve alcuna secessione».

m.g.o.

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