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Roero ancora in cerca di identità

VINO  L’inizio della primavera ha celebrato alla cascina Medici del Vascello di Venaria Reale la prima edizione di Roero days, durante la quale i produttori hanno presentato i loro vini a consumatori, ristoratori, enotecari e giornalisti. I vini hanno fatto la loro parte, presentandosi all’esame di degustatori di provata professionalità. Alle degustazioni libere si sono alternate quelle guidate, presentazioni di libri e qualche dibattito. Tutto allo scopo di pesare la maturità del mondo enologico delle colline alla sinistra del Tanaro con le dinamiche del mercato nazionale e internazionale.

Roero Venaria
I relatori al convegno. Da sinistra: Francesco Monchiero, Oscar Farinetti, Daniele Cernilli, i moderatori Alessandro Lamacchia, Stefano Cavallito, e Vittorio Manganelli.

Un convegno sull’identità. Nel pomeriggio di lunedì 21, si è parlato di identità del Roero in chiave di mercato e immagine. Ne hanno discusso il patron di Eataly Oscar Farinetti, il giornalista Daniele Cernilli, il critico enogastronomico Vittorio Manganelli e Francesco Monchiero (presidente del Consorzio del Roero). Al centro del confronto la diversa situazione di identità e mercato dei due vini protagonisti della Docg Roero: da un lato il Roero Arneis, una tipologia in grande spolvero, con numeri importanti: 5.500.000 bottiglie nel 2015 a fronte di una base di 3 milioni espressa dieci anni prima. Dall’altro lato, il Roero, vino rosso da Nebbiolo, in continua ricerca di una sua identità, come rivela anche la dimensione del mercato, che nel 2015 ha sfiorato le 500mila bottiglie, pur con una potenzialità produttiva superiore. Dal dibattito e dai discorsi sviluppati dietro le quinte, resistono posizioni differenti anche tra i produttori, che non sempre interpretano in modo unanime questo prodotto.

Ragionamenti a ruota libera. A ben vedere, il Roero Docg vino rosso resta un dilemma. Encomiabile è l’impegno di alcuni produttori nel cercare una strada risolutiva ai suoi problemi, che rischiano di essere ancestrali, ovvero risalenti alla sua stessa concezione nel cuore degli anni Ottanta. Tra le proposte, merita un ragionamento quella di apportare una piccola correzione alla denominazione, accompagnando l’origine geografica con il riferimento al vitigno, ovvero trasformando l’attuale Roero in Roero Nebbiolo. Anche in questo caso, i pareri sono discordi. Alcuni auspicano un correttivo di questo tipo, anche sull’onda dell’appeal che il termine Nebbiolo oggi esprime sul mercato. Altri, più scettici, non gradiscono tale completamento e credono nell’origine geografica come elemento unico di identificazione del vino. Il dibattito non è esaurito e proseguirà in seno agli organi istituzionali del Consorzio. Ma questo motivo di titubanza dovrebbe essere risolto in fretta e con chiarezza.

In proposito, è opportuno ricordare ciò che Renato Ratti proponeva nel cuore degli anni Ottanta, quando il dibattito sul Roero come separazione da Alba e dal suo Nebbiolo pareva a molti la soluzione ottimale. Ratti ipotizzava, in alternativa alla denominazione Roero, l’uso di una sottozona Roero nell’ambito della già esistente Doc Nebbiolo d’Alba. Ratti la spiegava così: «Questo non è un limite al Roero, solo una soluzione pratica: con il passare del tempo, la sottozona Roero potrà crescere nell’identità e diventare più importante della denominazione stessa. In quel momento potrà decidere se camminare da sola o meno». L’ipotesi di Renato Ratti non venne presa in considerazione. Probabilmente, però, avrebbe meritato una valutazione più attenta.

Giancarlo Montaldo

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