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Quella nera valigetta mi ha riportata bambina, quando ancora credevo

L'inchiesta: la fede al tempo del Bataclan 1

LA STORIA / 1 Giada – nata e residente ad Alba, studente all’università di Genova – ha 21 anni, un’età che pare un imbuto, in cui l’ampiezza delle idee adolescenziali convergono in un corridoio e vengono selezionate, scelte, stabilizzate in vista dell’epoca adulta.

«Qualche giorno fa ero in aeroporto a Londra, tornavo a casa dopo aver visitato un’amica. Per la prima volta ho avuto paura», racconta. «Nella sala antistante a quella delle partenze ho visto una valigia di pelle nera. Stava appoggiata al tavolino del bar zeppo di clienti. Sembrava abbandonata. Fino a quel momento avevo vissuto gli attentati terroristici Come una minaccia lontana, offuscata dietro al velo di irrealtà creato dai media, che ti fa essere consapevole razionalmente del pericolo ma non lo vivi mai come fosse reale. Quella valigetta di pelle mi ha fatto però emergere paure antiche, in modo del tutto imprevisto e irrazionale. Ho pensato a un attentato, del resto gli eventi di Parigi e Bruxelles erano avvenuti da pochi giorni. Ho cominciato a sudare. Non sapevo che fare. Mi sono allontanata. Mi è venuto in mente di chiamare la security. Poi è accaduto qualcosa di strano: ho pregato. Non sono credente e non vado a Messa da quando ero piccina. Eppure ho chiuso gli occhi e ho pregato. Il Dio che ho pregato aveva il viso di Gesù. Ho chiesto: “Ti prego fa’ che possa tornare a casa sana e salva”. Nel momento di difficoltà, immaginata, non reale, dato che dopo due minuti mi sono accorta che il proprietario della valigia stava semplicemente telefonando e si era allontanato qualche metro dall’oggetto, una fede sotterranea e dimenticata sembrava riemergere. I miei genitori mi portavano in chiesa, da bambina. Forse quelle immagini hanno residenza nelle profondità di me in modo più radicato di quanto credessi. Forse erano un riflesso incondizionato. Oppure è soltanto nel bisogno e nel pericolo che percepiamo chi siamo veramente e cosa davvero struttura i nostri fondamenti. In ogni caso ho trascorso gli ultimi mesi a interrogarmi sul significato mio, soggettivo, del concetto di fede. Quale religione mi appartiene? Cosa significa per me credere in qualcosa di maggiore, qualcosa a cui prima non avevo mai pensato? Non ho ancora trovato soluzione, ma di sicuro a chi mi chiede se credo non risponderò più con la sfrontata certezza di prima».

m.v.

L'inchiesta: la fede al tempo del Bataclan

Marta a Bruxelles e Aisha nel Roero

LA STORIA / 2 Fortunatamente non era più lì. Marta Rabbione, sandamianese di 25 anni, aveva da poco terminato il suo Erasmus a Bruxelles. Racconta così come ha vissuto l’attentato: «Ero tornata da un mesetto e fu una sensazione, diciamo, straniante. Anche se non ero lì, quelli erano i posti che frequentavo, quella stazione di metro la conoscevo bene. Per la prima volta capisci che il terrorismo non è qualcosa che non ti riguarda. La nipote dei proprietari di casa mia era a Zaventem, si è salvata per un pelo, solo perché aveva un valigione e si è nascosta dietro. Ho vissuto però in prima persona i mesi di novembre, subito dopo gli attentati a Parigi, quando il problema si era già spostato su Bruxelles. Andavi nei centri commerciali e dei militari con i mitra in mano ti controllavano la borsa con il metal detector e la Grand place era deserta. C’era un senso di instabilità, serate annullate nei locali, cinema, teatri. Ovviamente si continuava a uscire e a fare festa, ma il pensiero che i terroristi ce li avevamo in casa, quello sì, rimaneva».

Aisha invece abita nel Roero con la sua famiglia: madre, padre, una sorella e un fratellino. Ha 28 anni e, ormai dalla quarta elementare, frequenta le scuole italiane. «In realtà non mi sono mai ambientata, o meglio, gli altri non si sono quasi mai avvicinati a me. Qualche sorriso, qualche invito forzato alle cene di classe del liceo e zero rispetto durante il Ramadan. Ricordo quando, nonostante non avessi le forze, fui praticamente obbligata a fare educazione fisica. La situazione migliorò solo all’università. Scelsi di fare Scienze della comunicazione e, finalmente, trovai la mia strada, migliorando e intensificando i rapporti con gli italiani».

f.ge. 

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