MOSTRA Raccolta di 5mila immagini del più antico studio di Alba, dal 1868 a oggi
«Quando ho iniziato io, nel 1977, tenevo a recuperare il nome, “Foto Martina”; ma non volevo ostentare il passato, la storia… né tantomeno volevo ripararmene, cercare facili strade. Oggi, 43 anni dopo, penso ormai di potermi concedere il lusso di raccontare». Chi parla è Franco Negro, fotografo albese, ultimo discendente in attività di una famiglia, quasi un clan, di fotografi, la cui vicenda si mette in moto ad Alba a metà Ottocento. «Il documento più antico dice 1868»: ecco dunque il «passato», che già soltanto per ampiezza (il “famoso respiro”) e per il fatto di farci risalire agli albori della pratica fotografica (e dell’Italia da poco regno unito, ma prima ancora di Porta Pia), ci predispone a un ascolto molto più che benevolo.
Il racconto dei 150 anni di “Foto Martina”, insieme album storico e saga familiare, è diventato oggi una mostra viaggiante e in divenire, curata dallo stesso Franco Negro: dopo una prima uscita lampo a Mussotto lo scorso gennaio, trova ora spazio per un buon mese, dal 2 luglio al 7 agosto, a palazzo Martina di Monforte. “Foto Martina 150 anni dopo… a Monforte” – questo il titolo – sarà aperta lunedì, giovedì (10.30-12.30), sabato (15-18.30) e domenica (dalle 10.30 alle 12.30 e dalle 15 alle 18).
È una specie di ritorno “a casa”, dal momento che il colonnello Paolo Domenico Martina (soldato e filantropo cui devono il nome l’edificio e il bel museo che ne presenta cimeli e collezioni) era il fratello di Filippo, capostipite e fondatore del «premiato stabilimento fotografico», che poteva appunto fregiarsi di stemma e aveva sede ad Alba, in via Urbano Rattazzi.
Insieme e dopo di lui, i figli Domenico e soprattutto Matilde (una eccezionale, pionieristica fotografa), che sposa Carlo Albesiano e trasferisce lo studio (è il 1909) in via Coppa 6. Nel 1955, una generazione più tardi, la temporanea chiusura: nessuno dei figli prosegue l’attività, che sarà ripresa, con vera adesione sentimentale ma senza retorica alcuna, dal nipote Franco nel 1977. «Sono nato l’anno in cui mio nonno Giuseppe, figlio di Carlo, chiuse lo studio. Ero solo un bambino, ma ho vivi in mente quegli ambienti, che nei miei ricordi sono ovviamente grandissimi: le tele enormi alle pareti, i vetri rossi della stanza degli sviluppi… i nonni fino al 1963 hanno abitato al piano di sopra, e passavo molto tempo da loro. Oggi è rimasto nulla: dal cortile della casa si può ormai soltanto intuire dove si trovasse il vecchio Studio Martina».
La mostra permette però di “visitare” quello studio, almeno per scorci: ritroviamo teli, tappezzerie, oggetti in immagini non solo professionali: l’archivio Martina è anche un archivio familiare, in cui le istantanee, gli scatti domestici denunciano chiaramente il mestiere nella composizione, l’occhio tutt’altro che sprovveduto. Sono circa cinquemila fotografie, che Franco Negro ha raccolto nel tempo, in casa o altrove, ricevendole alcune in regalo o in prestito: stampe su carte antiche, tutte marchiate “Martina”; del corpus fanno parte naturalmente gli scatti dello stesso Negro (si segnala il ritratto, preso oltre 30 anni fa in Perù, di un fotografo ambulante: un affettuoso richiamo a qualcosa di resistente eppure, infine, vinto).
La mostra presenta una selezione, che il curatore ha integrato di didascalie: non semplici note di servizio, a tratti veri e propri racconti, che scaturiscono da un fatto accertato o da un’ipotesi interpretativa. Si veda ad esempio l’immagine guida, proveniente da palazzo Martina: l’uomo con la benda sull’occhio, il pugnale ricurvo tra i denti, la sciabola al fianco e due pistole spianate verso l’obiettivo. Fa coppia con lo stesso soggetto ripreso (armato e bardato) in punto di morte, soggiogato da un frate che gli indica, gravemente, il crocefisso… Un bandito? Un eroe? Entrambe le cose? È una storia illustrata, ripresa in studio a fine Ottocento, che rimanda ad Alberto Della Valle, l’«artista pittore» amico di Salgari e illustratore dei suoi romanzi: Della Valle metteva in scena e fotografava le situazioni che poi dipingeva per Mompracem o altri universi.
L’uomo con il pugnale tra i denti ci guarda negli occhi, e chissà che non possa raccontarci un altro inedito capitolo della lunga storia di “Foto Martina”.
Edoardo Borra