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Moscato: ci sono altre possibilità oltre ai vini dolci

Moscato: ci sono altre possibilità oltre ai vini dolci

CASTIGLIONE TINELLA Capita che una proposta che giunge da una piccola azienda o da un gruppo spontaneo di produttori incuriosisca più di un evento pensato da una holding internazionale del marketing e comunicazione. Non è frequente, ma capita. È successo nei giorni scorsi, a Castiglione Tinella, con una piacevole serata, ideata e realizzata da un piccolo gruppo di produttori agricoli, la cui fonte principale di reddito è la coltivazione e vinificazione dell’uva moscato. Il titolo era di quelli semplici, che in poche parole, e non roboanti, si faceva capire: “Il Moscato a cena-Sei Moscati abbinati a sei portate”. Nella sostanza, sono state presentate a tavola le possibili declinazioni del Moscato, dal dolce al secco e al chinato, accompagnando i vari vini con altrettanti piatti appositamente studiati. L’esperimento è stato positivo.

Moscato: ci sono altre possibilità oltre ai vini dolci 1
I produttori di Moscato e il cuoco protagonisti della serata di Castiglione Tinella.

Non c’era in questa prova alcuna volontà di stravolgere il mondo del Moscato, ma il suggerimento che, volendo, le soluzioni ai problemi sono a portata di mano. A promuovere l’iniziativa sono stati sei produttori, molti di Castiglione Tinella. Il loro obiettivo era semplice: dimostrare che dal Moscato si possono produrre diversi vini, tutti con la loro dignità. La Caudrina ha proposto il suo Asti Docg La selvatica, Luca Arione (Arione Spa) ha portato lo Spumante extra dry da uve moscato, Teresa Soria il suo Moscato secco, Giovanni Scaglione (Forteto della Luja) ha presentato il suo Loazzolo Doc Moscato passito, Simone Cerruti il Moscato d’Asti Docg Matot e Sergio Cerutti il Moscato chinato Kisei. Al di là dell’evento, emergono alcune considerazioni a proposito dell’intero comparto del Moscato, oggi in una condizione generale non facile.

Un vitigno poco sfruttato. Prima di tutto, è utile sottolineare l’ecletticità di un vitigno troppo spesso “trattato” come se sapesse solo produrre vini dolci e fragranti. Un legame così rigido tra vitigno e prodotti ha contribuito a influenzare negativamente la dinamicità del comparto. La propensione quasi plebiscitaria con cui le case spumantiere hanno optato sistematicamente per l’Asti è la conferma di una visione parziale delle opportunità produttive di tale vitigno. Fino a 7-8 anni fa, sono stati i cosiddetti “Moscatisti artigiani” a giocare un ruolo fuori dal coro, per due ragioni. Da un lato perché preferivano il Moscato d’Asti e dall’altro perché lo trattavano come un vino che nasce dall’uva e non come il frutto quasi esclusivo della tecnologia.

L’Asti secco e non solo. La decisione recente di sperimentare e sviluppare il cosiddetto Asti secco ha lasciato sconcertati alcuni protagonisti del comparto: alcune grandi aziende, pur non opponendosi, stanno a vedere come andrà a finire. Eppure, con la politica dei piccoli passi, sembra un’ipotesi capace di portare benefici al settore. Ma ci sono altre strade che il comparto potrebbe percorrere: ci riferiamo per esempio al Moscato secco, che annovera varie positive esperienze aziendali che meriterebbero una sintesi istituzionale e, magari, anche un coordinamento normativo.

Il Vermouth di Torino. C’è poi in atto il progetto di regolamentazione del Vermouth di Torino. Stupisce che in tal caso non sia stata colta dal comparto del Moscato l’opportunità di inserire in modo autorevole il suo vino tra i prodotti base per tale produzione piemontese. E non solo perché, storicamente, tanti riferimenti la legano al vino Moscato. La giustificazione ufficiale starebbe nell’eccessiva aromaticità di un vino base con una forte presenza di Moscato. Nella realtà, è più facile che la ragione sia economica: usando come base un qualsiasi vino italiano il costo di produzione è molto più basso.

Giancarlo Montaldo

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