Padre Daniele Moschetti racconta il mondo visto dal Sud Sudan

Padre Daniele Moschetti racconta il mondo visto dal Sud Sudan

SOCIETà Pensiamo di sapere tutto sul mondo. Di conoscerne la direzione. Di avere una ricetta pronta per tutti i problemi. Poi bastano due ore per cambiare idea, per deporre false sicurezze.

È sufficiente che qualcuno ci faccia vedere il mondo da un altro punto di vista, per esempio dall’Africa, per smontare tutte le false sicurezze. È quanto ha fatto, venerdì 2 marzo ad Alba, padre Daniele Moschetti, 54 anni, missionario comboniano, in Africa dal 1992, prima a Korogocho, baraccopoli di Nairobi, a fianco di padre Alex Zanotelli, poi in Sud Sudan, da 7 anni. Il Sud Sudan è l’ultimo Stato, il 193°, nato sulla Terra. Questo territorio, grande due volte l’Italia, dopo aver combattuto per decenni il regime musulmano di Khartoum, ha ottenuto l’indipendenza, sancita dal referendum del 2011. Ma le speranze di pace e di ripresa economica – realistiche in un Paese ricco di risorse agricole e di petrolio – sono presto naufragate: nel 2013 è scoppiata una guerra civile tra le due etnie, denka e nuer. I frutti della guerra sono terribili: 50mila morti, 1,6 milioni di sfollati interni, un milione di rifugiati fuori dai confini, 5 milioni di persone bisognose di aiuti, su una popolazione di 12 milioni. L’unico sbocco occupazionale per i giovani è entrare nell’esercito. L’economia è al collasso, al punto che le strutture sociali di base, scuole e ospedali, non hanno risorse per svolgere il loro lavoro.

Fino a dieci anni fa il Paese si reggeva su un’agricoltura di sussistenza, grazie a enormi estensioni di terre, coltivate e adibite a pascolo. Poi è scattato l’accaparramento delle terre, fenomeno che sta minacciando tutto il continente africano: Stati come la Cina e multinazionali hanno “acquistato”, pagando su conti esteri o con armi, enormi estensioni di terre, ricche di petrolio, di gas, di legname, di milioni di capi di bestiame al pascolo. Lo sfruttamento intensivo e senza regole delle risorse petrolifere sta causando immani disastri ecologici, di cui sono vittime le popolazioni locali.

Le migrazioni sono la conseguenza combinata di questo fenomeno e della guerra. Ci sono tre flussi migratori distinti e successivi: dalle campagne alle città, da uno Stato all’altro dell’Africa e poi, da parte di qualcuno, l’avventura di arrivare in Italia ed Europa, per trovare un lavoro e per sostenere la propria famiglia.

Da noi arriva la minima parte dei migranti. Per la propaganda mediatica e la polemica politica sembra un’invasione; in realtà sono poco più degli italiani che vanno all’estero: 160mila arrivi contro 107mila partenze di giovani italiani per l’estero. A livello politico non si fa quasi nulla, se non firmare accordi e dare soldi a dittatori perché blocchino le partenze, fermando i profughi nel deserto: ecco i 6 miliardi dati a Erdogan o gli accordi di Gentiloni con Libia e Niger.

L’azione della Chiesa in Sud Sudan è finalizzata alla formazione delle persone e a creare occasioni e spazi di dialogo. Per questo, lo scorso 15 ottobre è stato inaugurato a Kit, a una quindicina di chilometri dalla capitale Juba, il Centro della pace del Buon Pastore. L’opera è stata voluta dai superiori di 47 congregazioni religiose sudanesi e internazionali, con il sostegno di Conferenze episcopali europee, compresa la Conferenza episcopale italiana. Il centro, che si prepara ad accogliere papa Francesco nel suo prossimo annunciato viaggio in Sud Sudan, è aperto a tutti, come oasi di pace, per dialogare, pregare, riflettere. Da questo centro dovrebbero essere coordinate le scuole, le iniziative di promozione della donna e soprattutto di riconciliazione dai traumi della guerra.

Cosa possiamo fare noi? È la domanda che tutte le persone sensibili si pongono di fronte a questi dati. Padre Daniele ha invitato a essere attenti a quello che succede, a pretendere dai politici verità e non strumentalizzazioni, a provare a reagire, seguendo la voce in questo momento più illuminata e profetica, quella di papa Francesco. Poi recuperare quella capacità di indignarci e di lavorare insieme che abbiamo perso. Vincere rassegnazione e disinformazione è la sfida del nostro tempo.

Lidia Boccardo

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