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Ecco gli Almanacchi ottocenteschi della provincia d’Alba

Ecco gli Almanacchi ottocenteschi della provincia d'Alba

 

EDITORIA Editi tra il 1823 e il 1843, sono specchio della vita sociale e della cultura del tempo

Il compianto Giulio Parusso in un breve saggio sulla rivista Alba Pompeia ha delineato le vicende della provincia d’Alba, organo amministrativo che fu presente, con brevi e alterne interruzioni, dal 1631 al 1859. Nel periodo della Restaurazione, la classe dirigente locale cercò, attraverso le istituzioni della provincia d’Alba, ex arrondissement napoleonico del Dipartimento del Tanaro, di far sentire la propria voce presso il Governo sabaudo per porre fine ai cronici problemi di isolamento viario ed economico che affliggevano la zona.

La provincia nel 1827 contava 54.000 abitanti e la città di Alba settemila. Un nuovo ceto dirigente formato dalle famiglie aristocratiche ancora residenti nel territorio e dai rari borghesi era alla ricerca di un’identità culturale, alla luce delle trasformazioni economiche e sociali che erano avvenute nel periodo della dominazione francese e che non potevano più essere ignorate, nonostante le resistenze della monarchia sabauda.

Lo stampatore Domenico Botto aveva aperto all’inizio dell’Ottocento una tipografia, che fu la prima a operare con continuità in Alba. Nel 1823 decide di pubblicare un almanacco denominato l’Almanacco albesano-Giornale cronologico sacro profano, destinato al «colto pubblico» formato dai maggiorenti della provincia. Un almanacco non come tanti altri «ripieno d’incerte e per lo più fallaci predizioni», ma ricco di testi letterari, note di storia locale, liste di funzionari, elenchi di cariche pubbliche, informazioni utili. La compilazione del testo era stata affidata al teologo Tommaso Gallarato di Sommariva Perno, che sarà ricordato dal Casalis nel suo dizionario come «autore di produzioni letterarie che si leggono negli almanacchi albesani».

In Piemonte fiorivano, allora, gli studi di storia patria, e Alba aveva conosciuto uno studioso di fama come il barone Vernazza, e il più discutibile conte Deabbate; vi era, inoltre, uno spiccato interesse collezionistico per le antichità alimentato dai recenti scavi archeologici a Pollenzo. Gallarato nel 1826, ispirato dalla decadenza di Pollenzo, ricorda come il sito «altro non presenta che uno squallido e tristo avanzo, ove il passeggero appena scerne le sue ruine».

Nonostante i propositi di razionale sobrietà, dal 1826 cominciano ad apparire nell’almanacco note astrologiche e profezie tragiche di varia natura, vaghe e indefinite, in ossequio alle proibizioni della chiesa che vietavano «l’astrologia giudiziaria», cioè riferita direttamente a persone o a nazioni; sono note di colore, create per venire incontro alle morbose paure dei lettori e conferire una solenne tragicità al testo, caratteristiche di questo genere di pubblicazioni allora diffusissime.

È difficile, dai pochi esemplari superstiti, custoditi nelle biblioteche pubbliche e private, ricostruire la vicenda editoriale del periodico. Chiantore e Sansoldi nel 1841, succeduti al suocero Botto nella tipografia, riprendono la pubblicazione che era stata interrotta da anni, e stampano almeno altri due almanacchi fino al 1843.

Il nuovo Albesano si distingue per una migliore veste tipografica e aggiorna i suoi contenuti. Il testo contiene molti componimenti dei soci dell’Accademia filarmonica albese; risuonano nelle poesie i toni lugubri del genere romantico allora in voga e appaiono i temi risorgimentali, soprattutto nei componimenti di Alerino Como e Rocco Traversa. La storia locale è presente attraverso la pubblicazione di inediti di Vernazza e la descrizione delle cariche civili e militari del territorio trova ampio spazio ed enfasi, in uno sforzo di presentare il volto della provincia attraverso le sue espressioni migliori. Dal 1843, probabilmente, le pubblicazioni si interruppero. A noi resta la traccia, sia pure frammentaria, di un’esperienza editoriale che offriva un’interessante documentazione della vita sociale e culturale del tempo.

Luciano Cordero

 

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