Il salva proverbi di Langa e Roero d’Oreste Cavallo e Primo Culasso

Il salva proverbi di Langa e Roero d’Oreste e Primo

ALBA  Salvomje! di Cavallo e Culasso raccoglie cinquecento modi di dire in piemontese
Salvomje!, salviamoli, titolano Oreste Cavallo e Primo Culasso il loro nuovo libro, fresco di stampa, il primo a vedere riunite le loro due firme, assai note ad Alba e non solo per la dedizione di una vita di studi sulla natura e sul paesaggio, su storia e tradizioni. Salvomje! è «una richiesta d’aiuto», scrivono nella premessa, un invito accorato, urgente, al lettore perché si faccia complice della loro «modesta ma piacevole» fatica, entri nella partita indossando la stessa casacca e semmai la continui da sé, in una ideale dimensione di opera aperta e collettiva. Non a un veloce turista della pagina, attratto dal pittoresco regionalistico (l’«afrodisiaco dialettale» di famigerata memoria), ma a un lettore militante e civile si rivolge dunque il volume, raccolta ordinata e commentata di proverbi e modi di dire di Langhe e Roero: oltre cinquecento espressioni salvate, nel tentativo di ricomporre ciò che per gli autori è un autentico patrimonio. Un bene oggi ai loro occhi intaccato da quella che si dice una cattiva gestione, ma non del tutto compromesso, anche grazie, riconoscono, alle cure di lodevoli e non passivi cultori della lingua e della cultura piemontese (da Donato Bosca a Giacomo Giamello e altri), nel cui solco è possibile inserire il lavoro di Salvomje!

Classe 1937 e 1938, Cavallo e Culasso sono nativi delle Langhe contadine, rispettivamente di Montelupo e Trezzo Tinella: il che significa una comune identità dalle salutari sfaccettature e due parlate diverse di quel dialetto appreso come madrelingua mano a mano che il mondo (reale e immaginario) si popola di nomi e di fatti, e tra il nome e la cosa non c’è nessuna distanza o mediazione, ma una coincidenza di speciale intensità.

Proverbi e modi di dire sono frutto di questa intensità, si creano sulla conoscenza diretta del mondo e ne diventano meditazione, con un vestito simbolico e metaforico che utilizza i nomi delle cose intorno per fissare un’esperienza, una regola, un monito la cui validità supera la circostanza spicciola e si deposita in un tempo al di fuori della storia. Nella codificazione del loro linguaggio “visivo”, allusivo e molto spesso ironico, c’è un esercizio di educazione; la loro saggezza è una cosa viva. O meglio, potrebbe esserlo: con il progressivo abbandono del dialetto, si allarmano i due autori, ci si allontana non fisicamente ma culturalmente da detti e proverbi, e arrugginisce la capacità di decodificarne l’ampiezza.

Il contenuto allegorico si raggiunge e svela con un riflesso, se si è nati e vissuti nella cultura che li ha generati e soprattutto usati; altrimenti, bisogna provvedere al contesto, ed è ciò che Cavallo e Culasso fanno puntualmente in Salvomje! non limitandosi a una traduzione letterale, ma provvedendo ogni caso di note e commenti sapidi e precisi, divertendosi e divertendo.

La raccolta è organizzata in nove raggruppamenti, «categorie tematiche» che toccano l’agricoltura e la nutrizione, il tempo e la salute, l’economia, le esperienze e i mestieri, i tipi umani e i campanilismi. Ma sono suddivisioni troppo rigide: «i proverbi, ma anche i più semplici modi di dire, si rifiutano di lasciarsi incasellare in classi univoche», a testimoniare appunto la loro intensità e ampiezza. S’incomincia dal mondo agricolo, perché si ritorna così all’alba della storia dell’uomo, che si fa sedentario e comincia a elaborare, per necessità, insegnamenti su come si conduce la terra, sulla natura e sul rapporto rispettoso che con essa va intrattenuto… e proprio qui viene isolato da Cavallo e Culasso il “proverbio numero zero”, che dice tutto di questo rapporto essenziale e corrisponde a una visione del mondo: «Piuttosto che lavorare sul bagnato è meglio stare in casa a fare lo stupido».

Salvomje! va assunto a piccole dosi, suggeriscono gli autori; e va considerato, appunto, un invito all’azione. Le due pagine conclusive del libro sono lasciate in bianco, perché ognuno, armato di matita (o crajon, o «stampante a getto di grafite», hardware di Oreste Cavallo medesimo), salvi dall’oblio, scrivendola e usandola, qualche espressione, qualche parola in più. L’unica preoccupazione è «se la gomma si consuma prima della matita»: per cui si rimanda a pagina 53 di Salvomje!

Edoardo Borra

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