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Scopriamo il significato del termine piemontese Tȓavërsé

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Tȓavërsé: Scommettere, esclusivamente nel gioco della pallapugno. Attraversare.

Parliamo del balon, il gioco della pallapugno: tra questa parte del Piemonte e una fetta della Liguria, non c’è paese che non abbia una piazza adattata a divenire la lizza di proverbiali partite nelle domeniche pomeriggio di quasi tutto il Novecento. Disciplina antica e povera, vive in spazi che rimangono uguali a sé stessi, di stagione in stagione e in cui case e chiese fanno parte del terreno di gioco, con giocatori che utilizzano bende e cuoio come ferri del mestiere. Uno, forse il più grande tra i campioni di questo gioco, è Augusto Manzo, il Campionissimo per antonomasia. Una vera leggenda. Ne parla anche Beppe Fenoglio nel meraviglioso racconto “Il Paese”.

Le partite più importanti attiravano migliaia di spettatori che intervenivano, discutevano, davano consigli, criticavano e soprattutto scommettevano: erano spettatori e giocatori d’azzardo nello stesso tempo; ne combinavano di tutti i colori dentro e fuori dal campo. Eccoci dunque a parlare di traverse, le scommesse, appunto. Chissà perché, soltanto nella pallapugno, scommettere si dice tȓavërsé. Lo si può dedurre in almeno un paio di ipotesi.

C’è chi riconduce il termine all’asse di legno; dunque, facendo una metafora, la traversa è l’asse, la linea di intesa tra scommettitori, oppure tra scommettitore e giocatore. Qualcun altro, più aneddoticamente, associa il termine al momento in cui avviene il cambio di campo, ossìa l’attraversamento del terreno di gioco da parte di chi batte e di chi ricaccia. I capitani di entrambe le squadre si dice che effettuassero l’attraversamento proprio a bordo campo, pur allungando il percorso, per passare il più vicino possibile agli spalti e, tra un gesto e un’occhiata, capire come far proseguire la partita.

Tradizione voleva che alcuni capitani, ad ogni cambio di campo, si vedessero infilare fior di banconote nelle tasche dei pantaloni da parte di alcuni scommettitori. Quando i pantaloni erano privi di tasche, il bottino veniva infilato direttamente nei calzettoni del giocatore che arrivava a fine partita con i polpacci belli gonfi. Non si può dire che quei soldi non fossero sudati.

Paolo Tibaldi

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