Con Paolo Tibaldi alla scoperta delle origini del termine piemontese “Levatrìs”

Paolo Tibaldi ci racconta aneddoti le

Levatrìs: Donna che assiste le partorienti. Ostetrica d’altri tempi, autodidatta

Vi sono attività lavorative che portano con sé storie e aneddoti carichi di umanità; percorsi emotivi e ricordi che possono essere rivissuti a partire già dal nome del mestiere stesso, quasi sempre udito o pronunciato, tramandato oralmente così come è stato fatto a me. Espressioni originali e insostituibili, di cui proviamo a fare una carrellata.

E così, se il magnin era colui che riparava padellame, il moleta si occupava dell’affilatura delle lame: l’arrotino! Nella stagione fredda passavano per le cascine i cadreghé, – costruttori artigiani di sedie – con il loro piccolo banco da lavoro legato alla schiena: per una fetta di toma, un’acciuga e un bicchiere di vino, trasformavano in sedie i ceppi di ciliegio forniti dei contadini e in mito e leggenda le storie che avevano raccolto nel loro girovago lavoro. In queste processioni profane trovavano posto anche i cartonè, viaggiando in carovane con carri colmi di merci di ogni genere, dalla ghiaia al vino. E quando il carro si guastava? Per ripararlo o sostituirlo si andava dal saroné, il cosiddetto carradore.

Per spaciafornèl si intende lo spazzacamino con quel suo volto un po’ fuligginoso; il trabicant è colui che intonaca a cottimo; lo sghingau è il precursore delle grandi aziende di spurghi giacché ripuliva i pozzi neri dal liquame putrido per riversarlo nei campi. Per armiré si può intendere l’armaiolo militare e civile, ma anche il venditore di ferramenta, colui che in qualche modo avrà certamente ciò che si sta cercando.

Da queste parti vi erano anche i tarponé, i cacciatori di talpe: si svolgeva questa attività fin da bambini, vendendo per un soldo ogni pelle seccata al sole. E il pajarin? L’addetto alla trebbiatrice durante la raccolta del grano.

Mestieri semplici, svolti da donne e uomini non diplomati, ma il cui titolo di studio era quello di essere pratici di quell’attività che diventava motivo d’orgoglio, specie quando si raggiungeva la massima aspirazione: sentirsi veramente utili per qualcuno. A cominciare proprio da levatris e portòire che raggiungevano le case delle donne partorienti per aiutarle a portare alla luce il loro nascituro.

Paolo Tibaldi

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