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Proglio, albese che fa ricerca sulle migrazioni

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IL COLLOQUIO Abbiamo documentato la partenza dei migranti in varie forme e geografie. Ma dove vanno queste persone? Lo chiediamo a Gabriele Proglio, che vive tra Alba e Coimbra, in Portogallo, dove lavora come ricercatore. Da qualche mese il suo “ufficio” è però a Ventimiglia, dove cura una ricerca a taglio sociologico e antropologico. Città di transizione, chiamata “girone infernale” perché determina chi rimane e chi va, chi è condannato e chi ha una speranza, è una delle mete scelte dai migranti in fuga.

Spiega Proglio: «A Ventimiglia ho visto profughi accampati sotto un ponte. Sembra di assistere a un vero e proprio apartheid: i migranti non devono essere visti. Oppure sono troppo visibili. Accade quando vengono strumentalizzati politicamente o, per converso, confinati in quelli che di fatto corrispondono a ghetti. Poi, ci sono gli attraversamenti di confine gestiti dai passeur, che accompagnano i migranti in Francia. Sovente esistono dinamiche di criminalità individuale o organizzata dietro questi spostamenti, perché sono una chiara occasione di profitto».

Proglio, albese che fa ricerca sulle migrazioni
Il ricercatore Gabriele Proglio

Sulla situazione relativa agli sbarchi e all’origine della filiera umana di chi attraversa il Mediterraneo in fuga da guerre, conflitti o povertà, Proglio cerca di spiegare: «L’unico modo di eliminare la tratta tra Italia e Libia è cancellare i confini. Fino agli anni Ottanta venivano rilasciati visti normalmente, oggi invece si tenta di costruire confini più rigidi, di esternalizzarli. Lo vuole fare Matteo Salvini con i suoi incontri in Libia, con le missioni militari, attraverso l’identificazione di soggetti che controllino le frontiere. Ma non servirà affatto».

INCHIESTA: umanità dimenticata

Il ricercatore aggiunge, commentando l’atmosfera emotiva che si respira ovunque: «Aggressioni quotidiane e tre omicidi, violazione delle norme internazionali, razzismo e xenofobia nell’etere, espulsioni e deportazioni, lavori nei campi come al tempo delle piantagioni, uso di un lessico violento (si pensi a “buonismo” applicato a chi non utilizza un atteggiamento di esclusione) e applicazione di un umanitarismo che puzza di primato dell’uomo bianco, ingerenze fuori dai confini nazionali ed europei per controllare territori strategici, nuove forme di colonialismo nazionale e privato. Quanto sta accadendo non riguarda il presente. Attinge a modelli e pratiche tipici di colonialismo, schiavismo e Shoah. Ma è anche qualcosa di estremamente nuovo, nel quale si passa al governo delle migrazioni come mezzo per nuove forme di sfruttamento in Europa, ma anche in Africa e Asia».

m.v.

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