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L’ameba ed Einstein: la lezione ignorata dal Governo gialloverde

Don Antonio Sciortino
Don Antonio Sciortino

Che differenza c’è tra un’ameba ed Einstein? Nessuna, secondo Karl Popper, uno dei più grandi filosofi del secolo scorso. «Nella scienza, come nella vita», scrive in Epistemologia, razionalità e libertà, «vige il metodo dell’apprendimento per prove ed errori, cioè di apprendimento dagli errori. L’ameba ed Einstein procedono allo stesso modo: per tentativi ed errori. E la sola differenza rilevabile nella logica che guida le loro azioni è data dal fatto che i loro atteggiamenti nei confronti dell’errore sono profondamente diversi». In altre parole, l’ameba persiste nell’errore e muore. Einstein ne fa tesoro, cambia teoria e sopravvive.

È la stessa logica del moscone che, volendo uscire da una stanza chiusa, sbatte contro il vetro, ripetutamente, fino a morire. Una persona, invece, se inciampa in un ostacolo, la seconda volta lo evita. La scienza progredisce perché fa tesoro degli errori e non sbaglia mai due volte nello stesso modo. Diceva Oscar Wilde: «L’esperienza è il nome che ciascuno di noi dà ai propri errori».

La logica dell’ameba, o quella del moscone, pare essersi impossessata del Governo gialloverde, che non intende recedere su nulla. Nonostante le evidenze dei numeri, che sono tutti a sfavore. E nonostante i ripetuti richiami, non solo dell’Unione europea, ma anche del Fondo monetario internazionale, della Banca d’Italia, dell’Ocse, dell’Istat… che mettono in guardia dallo sfascio dei conti. E dalla rovinosa crescita del debito pubblico, tra i più alti al mondo. E non più sostenibile. «Siamo sull’orlo del precipizio», ha scritto Ferruccio De Bortoli sul Corriere della sera (18 novembre 2018), «ma il Governo non sembra avvertirne il pericolo reale. Sfida l’Unione europea convinto di avere il vento del consenso, persino della storia, a suo favore».

Lo spread, da mesi ormai, ruota attorno a quota 300. E il sottosegretario al ministero dell’Economia e delle finanze, Laura Castelli, laurea triennale e un passato lavorativo allo stadio (come il vicepremier Di Maio), spiega in Tv che non c’è alcuna relazione tra lo spread e i risparmi degli italiani. Con grave sconcerto di economisti ed esperti. Gli ultimi dati Istat, con il calo del Pil (-0,1%), hanno riportato l’Italia in recessione, come non avveniva dal 2014. Nel frattempo, Bruxelles ha bocciato la manovra del Governo. E si prepara a sanzionare l’Italia. Tanto basterebbe per aprire un dialogo e rivedere i conti, puntando maggiormente su investimenti e crescita.

Ma non c’è ragione che faccia desistere i Dioscuri della politica italiana dall’ostinata e suicida sfida all’Europa. La manovra non si tocca. Sebbene insostenibile economicamente. Così come non si toccano reddito di cittadinanza e abolizione della riforma Fornero, che ne sono i capisaldi. L’hanno promesso in campagna elettorale. Anche se ora, che sono al Governo, è difficile conciliare “botte piena e moglie ubriaca”. E, forse, anche “l’uva ancora da raccogliere”. Improvvisazione e avventurismo hanno fiaccato la resistenza di famiglie e risparmiatori. «Non arretreremo di un solo millimetro» è il mantra, ormai frustro, del leader leghista, Matteo Salvini. Salvo, poi, fiutare il vento e “adeguarsi” furbescamente, con qualche piccolo cedimento all’Unione europea. Ma la narrazione mediatica è sempre muscolare. Decisionista. Quella di chi alza la voce e chiede rispetto in Europa. Dove – a sentire i Tg, ormai asserviti al regime sovranista – «finalmente contiamo qualcosa». Manipolazione propagandistica che, purtroppo, miete consensi tra i non pensanti. Quasi bastassero dei volgari insulti a intimorire i commissari europei. O, altrimenti, una cena a Bruxelles con pacche sulle spalle per blandirli. Vero giudice è il mercato. Severo e intransigente. A smascherare la debolezza della manovra finanziaria, tutta in deficit. Per un Paese che s’avvia al precipizio. Con sempre minore credibilità in Europa e nel mondo. Né basta il continuo appello al popolo a mascherare incompetenza e inefficienza.

Stessa pervicacia, soprattutto del vicepremier leghista, c’è nel cavalcare il tema immigrazione. E nel rendere impossibile la vita agli stranieri in Italia. Il decreto sicurezza, appena approvato in Parlamento, offusca l’immagine dell’Italia, relegandola tra i Paesi più incivili, che disconoscono i permessi umanitari. A dispetto d’una delle più belle Costituzioni al mondo, quella italiana, solidaristica e attenta alle fasce più deboli della popolazione. Il più elementare senso di umanità e di civiltà è stato seppellito dall’arroganza del “me ne frego”, di mussoliniana memoria. E migliaia di stranieri, all’improvviso, si ritrovano abbandonati a sé stessi, senza alcuna dimora. Andranno a ingrossare le file dei clandestini, quasi impossibile da espellere e rimpatriare. Prima erano trecentomila, presto saranno quasi mezzo milione. O, forse, andranno a fornire manovalanza alla delinquenza organizzata. Dopo l’entrata in vigore della legge Salvini, quarantamila migranti  – tra cui famiglie, donne e bambini – hanno già dovuto lasciare i Centri di accoglienza.

Dura la reazione di chi, da anni, si occupa seriamente di stranieri. «Ingiustizia è fatta», hanno gridato associazioni e centri di accoglienza all’approvazione del decreto sicurezza. Centri, da sempre, impegnati contro la criminalizzazione dei migranti e a favore del diritto d’asilo. «Un passo indietro di cui non si vede la logica», ha scritto il Centro Astalli, «se non quella di alimentare l’allarme sociale per distogliere l’opinione pubblica dalle vere urgenze del Paese». Altrettanto preoccupato il presidente della Casa della carità di Milano, don Virginio Colmegna: «Aumenterà l’illegalità, mettendo a rischio la coesione sociale».

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Un insano delirio anti immigrati, che genera discriminazioni e intolleranza, se non vera e propria xenofobia, s’allarga a macchia d’olio nel Paese. Senza più freni inibitori. Dalla denigrazione del “modello Riace”, con gli arresti domiciliari del sindaco Mimmo Lucano per irregolarità amministrative, alla vergognosa esclusione dei bambini stranieri dalla mensa scolastica a Lodi. E poi le pretestuose  ispezioni che hanno fatto chiudere il Centro di accoglienza della parrocchia di Vicofaro (Pistoia), gestito da don Massimo Biancalan, il “prete degli immigrati”. Accanimento sospetto, che ha spinto don Alessandro Santoro, della comunità Le Piagge di Firenze, a invocare atti di disobbedienza civile: «Non possiamo accettare in silenzio queste politiche che sono un insulto alla civiltà e all’umanità. Dobbiamo risvegliare le coscienze». Subito e con coraggio.

Nel Paese, col Governo gialloverde, ogni pretesto è buono a sbarrare la strada allo straniero. Con ogni mezzo. Spesso a danno del “buon senso”. E del “senso di misura”. L’altra settimana, ancora una volta, sotto tiro è stata la nave Aquarius di Medici senza frontiere. Messa sotto sequestro dalla procura di Catania per irregolarità nello smaltimento dei rifiuti a bordo. Un “eccesso di zelo” del procuratore Carmelo Zuccaro, in un Paese sommerso da milioni di tonnellate di ecoballe, con ogni tipo di rifiuti, che lo Stato non rimuove. E di centinaia di siti contaminati, che non vengono bonificati. «Una misura spropositata e strumentale», ha dichiarato il responsabile emergenze di Medici senza frontiere, Karline Kleijer, «tesa a criminalizzare, per l’ennesima volta, l’azione medico-umanitaria in mare».

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È in atto una vergognosa campagna di delegittimazione di tutte le Ong, che va avanti da mesi. In particolare, contro Medici senza frontiere, un’organizzazione umanitaria, premio Nobel per la pace, che lavora in settanta Paesi del mondo, con trentamila operatori. In tre anni ha soccorso ottantamila persone in mare. In Africa, per mesi, ha operato a debellare l’epidemia di Ebola. Dopo tanta solidarietà, è avvilente sentirsi dire da un ruspante ministro dell’Interno che “la pacchia è finita”. Con l’accusa d’essere “vice scafisti” prima, e poi “untori del ventunesimo secolo”, per gli sbarchi dei migranti nei porti italiani. Sebbene tantissimi medici abbiano dimostrato che su seimila sbarchi, tra il 2015  e il 2016, «non siano state evidenziate gravi malattie infettive e diffusive, ma solo malattie dermatologiche, facilmente curabili».

Cattiva informazione e campagne diffamatorie che Pax Christi invita a denunciare, svegliando le coscienze assopite: «Appare inquietante l’accusa di collusione criminale con il traffico di rifiuti, dopo che per mesi si è tentata senza esito quella infamante di collusione con i trafficanti di uomini». È a rischio l’umanità e la coscienza della comune appartenenza alla famiglia umana. Più che contrastarle»,  aggiunge Pax Christi, va riconosciuto «l’altissimo valore delle organizzazioni umanitarie, che non vogliono abbandonare il Mediterraneo e voltare lo sguardo dalle persone che lì sono in pericolo di vita».

Lo slogan, tanto sbandierato dal Governo gialloverde, «Aiutiamoli a casa loro», s’infrange contro l’ipocrisia dei provvedimenti. Ora, su proposta della Lega, si vogliono tassare le rimesse degli immigrati. Soldi che sono frutto del loro lavoro in Italia, sui quali hanno già pagato le tasse. E che servono a risollevare l’economia dei Paesi d’origine. Allo stesso modo, nel secolo scorso, le rimesse dei nostri emigrati salvarono l’economia italiana, soprattutto al Sud. Un provvedimento, quello leghista, punitivo e ingiusto. Un “pallino” coltivato da anni contro gli immigrati, e ora finalmente in dirittura d’arrivo. “Tassa ingiusta”, l’ha definita il sociologo Maurizio Ambrosini, «colpisce chi aiuta nei Paesi d’origine, col rischio di incentivare l’uso di canali alternativi e illegali».

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Con la stessa logica si denigra chi la Cooperazione internazionale la fa davvero, non a parole, a rischio della propria vita. Com’è successo per la volontaria Silvia Romano, 23 anni, sequestrata in Kenya e tuttora nelle mani dei sequestratori. Una valanga indecente di insulti l’ha seppellita sui social: «L’ennesima oca giuliva, poteva stare a casa e aiutare gli italiani». E c’è chi si augura «che tutti i buonisti pro clandestini facciano la stessa fine». «Questi insulti», ha detto il presidente Focsiv, Gianfranco Cattai, «sono il risultato di ciò che è stato seminato per sfiduciare il lavoro degli organismi di volontariato in Africa e nel Mediterraneo. È la conseguenza di un investimento denigratorio». In riferimento alla volontaria Silvia Romano ha aggiunto: «Questi giovani sono i nostri ambasciatori, il meglio della nostra società».

D’altronde, cosa ci si può attendere di serio da un Governo che, a settembre scorso, all’Assemblea Onu di New York, ha firmato solennemente il Global compact sulle migrazioni, e a novembre già lo sconfessa? Decidendo anche di non partecipare il 10 dicembre prossimo, a Marrakech in Marocco, all’incontro per la ratifica. Il premier Conte, che all’Onu ha posto la firma al documento sulla gestione globale dei flussi migratori (un testo, tra l’altro, non vincolante), è stato “messo in riga” dal vicepremier Salvini. Aver ceduto al diktat leghista è un ulteriore svilimento del ruolo di Primo ministro. E Conte vi si presta senza reagire. E senza dignità istituzionale. La scusa del passaggio parlamentare non basta a salvarlo da una pessima figuraccia. All’Onu a nome di chi parlava? Chi rappresentava in quell’Assemblea delle nazioni? E chi rappresenta, oggi, ogni volta che dichiara qualcosa? Se non siamo lo zimbello del mondo, poco ci manca.L’ameba ed Einstein: la lezione ignorata dal Governo gialloverde

D’altronde, sul piano della civiltà regrediamo a grandi passi. A settant’anni dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (10 dicembre 1948), non c’è traccia di qualche evento commemorativo o di riflessione (lo stesso è avvenuto per il settantesimo delle leggi razziali, passate quasi in silenzio). Sarà perché tra i princìpi proclamati dalla Dichiarazione universale c’è anche quello che ogni individuo ha diritto a una cittadinanza e di «cercare e ottenere asilo in altri Paesi»?

Antonio Sciortino,

già direttore di Famiglia Cristiana e attualmente direttore di Vita Pastorale

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