«Pinot Gallizio, figura poliedrica e straordinaria»

Ad Alba il direttore del Museo d’arte moderna del Pompidou di Parigi

INTERVISTA Bernard Blistène è fra le voci più autorevoli intervenute a margine della mostra dedicata al Dada e al Surrealismo. Dirige il Musée national d’art moderne al Centro Pompidou di Parigi, che raccoglie un’ampia collezione di opere surrealiste. Ospite, sabato scorso, della serata conclusiva in fondazione Ferrero, il critico d’arte ha trascorso anche la mattinata seguente ad Alba. Scopo: una visita al museo diffuso che la città dedica a Pinot Gallizio. Passeggiando per le strade assolate della capitale delle Langhe, si è discusso di avanguardie artistiche, della loro eredità, delle reciproche influenze.

«Pinot Gallizio, figura poliedrica e straordinaria»
Bernard Blistène (a destra) con il curatore della mostra in fondazione Ferrero, Marco Vallora

Monsieur Blistène, quali sono i principali elementi d’interesse del percorso espositivo proposto dalla fondazione Ferrero con la cura di Marco Vallora?

«Trovo interessante come venga approfondita la relazione fra Dada e Surrealismo. Se Dada, con il suo spirito anarchico, ha espresso radicalmente una protesta situata nell’attualità, gli artisti surrealisti hanno assorbito questo spirito e lo hanno, in certa misura, dissolto. La ricerca di linguaggi alternativi alla pittura, lo scardinamento del narrativismo, lo sberleffo nei confronti del potere e dei costumi borghesi sono elementi che il Surrealismo sviluppa a partire dall’esperienza dadaista. C’è una sostanziale novità: la protesta lascia posto al gioco, potremmo dire un gioco sociale. Le arti figurative, per i surrealisti, non sono più sufficienti a contenere questo “gioco”. Si afferma l’idea che il cinema possa superare lo spazio borghese della pittura, non a caso Luis Buñuel e Salvador Dalì collaborano in film che giocano sulla distorsione del tempo e della morale. Buñuel non crede più nella narrazione, la storia è una costruzione falsa e l’artista ha il desiderio di giocare con essa. L’energia tellurica delle avanguardie si esprime anche per paradossi: Buñuel afferma “viva le catene!” in pieno ’68, quando altri in piazza rivendicavano “l’immaginazione al potere”».

Come può un museo conservare inalterate le proprietà e le rivendicazioni di una corrente artistica che nei musei non vuole starci?

«Anche questo è un paradosso affascinante. La polemica verso l’arte museale condotta da Dada e poi dai surrealisti pone il problema, insolubile, della restituzione. Io credo che inevitabilmente qualcosa vada perduto, ma questo non è necessariamente un male. Penso ci sia una componente di fascino in questa inafferrabilità dell’opera surrealista».

Lei è un grande ammiratore di Pinot Gallizio, tanto da pensare alla possibilità di ospitarne una personale nel museo da lei diretto. Che cosa l’affascina di questo artista?

«Una figura straordinaria, poliedrica, con una grande sensibilità che lo portò a cogliere le trasformazioni del suo territorio. Si crede erroneamente che le avanguardie si sviluppino solo nei grandi centri urbani. Niente di più falso, come dimostra l’esempio di Gallizio la cui “pittura industriale” nasce in una dimensione prevalentemente agricola».

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Sulla destra: Pinot Gallizio

Eppure è poco conosciuto, almeno in Italia…

«Davvero? Questo è un peccato. In Francia è molto apprezzato e viene studiato con interesse il sodalizio intellettuale che lo avvicina a Guy Debord. Venendo qui ad Alba mi sono accorto di quanto sia complesso il suo percorso. Gallizio non è certo una figura periferica del Movimento situazionista. Al contrario, la sua produzione mi sembra sintetizzi elementi di grande interesse: l’essenza mitica dell’arte che vive nella fascinazione per il gesto pittorico, come si osserva nelle sue prime opere, ma anche la protesta verso la macchina, l’arte immaginata come strumento di riappropriazione del fare umano».

Alessio Degiorgis

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