Il Risorto chiude una strada ma ne apre altre due

PENSIERO PER DOMENICA – ASCENSIONE DEL SIGNORE – 2 GIUGNO

L’Ascensione chiude la vicenda storica di Gesù e apre quella della Chiesa. Questa funzione di cesura è sottolineata da Luca, con la distinzione tra “il tempo di Gesù” raccontato nel terzo Vangelo e “il tempo della Chiesa”, raccontato negli Atti. Lo scenario storico è Gerusalemme: il tempo della Chiesa non è l’attesa illusoria di un assente o l’evasione alienante verso un cielo da sogno, ma il ritorno alla Gerusalemme terrestre per iniziare a percorrere le strade della missione «in tutta la Giudea, la Samaria, fino ai confini della Terra».

Nessuna tentazione di potere o di rivalsa. Prima di inviare i discepoli in missione, Gesù deve contrastare per l’ennesima volta le tentazioni di potere che, dopo la risurrezione, si erano riaffacciate, con formidabili ragioni, nelle mente dei suoi, che non riescono a trattenere la domanda: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno di Israele?» (At 1,6). Avere come guida non solo un grande leader, ma addirittura un risorto è un’opportunità che non si ripeterà più! Ma Gesù risorto, mentre chiude questa strada, ne apre altre due: la strada della testimonianza che porta alla terra e la strada della salvezza che porta al “cielo”.

Il Risorto chiude una strada ma ne apre altre due

«Mi sarete testimoni»: è la consegna chiarissima di Gesù, il suo “testamento”, secondo Luca (At 1,8; Lc 24,48). Testimoni non solo con l’amore vicendevole, come colto da Giovanni, ma anche attraverso la parola, come vediamo nello scorrere degli Atti, nelle vicende di Pietro e Paolo e nelle lettere di questi. Il dovere della testimonianza riguarda tutti i battezzati: chi ha ricevuto il dono della fede e l’ha fatto crescere fino al livello di fede adulta, non può tenere questo dono per sé, ma deve condividerlo. La vicenda storica della Chiesa è questo: niente di più, ma anche niente di meno.

Cieli aperti. L’Ascensione di Gesù apre idealmente anche un’altra strada: quella per il “cielo”, immagine metaforica della salvezza. È l’immagine grandiosa con cui si apre il brano odierno della Lettera agli Ebrei (9,24-28; 10,19-23): «Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, ma nel cielo stesso». Qui, in cielo, c’è l’unico “santuario”, perché l’unico luogo sacro è la vita: la terra è tutta a disposizione degli uomini; non ci sono più spazi sacri, riservati a una élite sacerdotale. Questo allarga gli orizzonti, aprendo spazi inaspettati di speranza, ma anche di impegno: umanizzare la terra, renderla e conservarla abitabile, ecologicamente, socialmente e politicamente è compito di tutti noi.

Lidia e Battista Galvagno

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