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La Suprema Corte sentenzia: la canapa è illegale

IL CASO Che ne sarà dei tremila negozi in Italia che vendono prodotti derivati da canapa Sativa? Dopo la sentenza emessa la scorsa settimana dalle sezioni unite della Corte di Cassazione, il loro futuro sembra essere a rischio, insieme a quello di una filiera agricola che negli ultimi tre anni ha conosciuto una vera e propria rinascita, dando lavoro a più di diecimila persone, dai produttori ai rivenditori.
La Suprema Corte ha infatti stabilito che è illegale la vendita di «fiori, infiorescenze, oli, resine». Ma, oltre al divieto, ha aggiunto l’inciso «a meno che questi prodotti non siano privi di efficacia drogante». Ed è qui che emergono dubbi, perché ciò che caratterizza la canapa Sativa è proprio il basso livello di Thc, il principio attivo che provoca effetti stupefacenti e che invece è elevato nel caso della canapa Indica, la cui coltivazione è vietata. Per essere precisi, secondo la legge 242 del 2016, che regola la filiera agroindustriale della Sativa, quest’ultima non deve superare la soglia dello 0,6 per cento di Thc, altrimenti scatta il sequestro della coltivazione. Ma se fino ad oggi ci si è basati su questo discrimine anche per regolare i prodotti derivati, la sentenza della Cassazione lascia spazio a nuovi dubbi, che potranno essere chiariti solo quando ne verranno depositate le motivazioni.
Come Gazzetta d’Alba aveva documentato un anno fa, in un ampio servizio sul tema, il vero problema è che non esiste una normativa ad hoc per la vendita di prodotti a base di cannabis light, come viene definita, in particolare per quanto riguarda le infiorescenze, che possono essere usati per tisane e decotti, ma anche fumati, A fare le spese di questo vuoto legislativo anche chi coltiva la Sativa, una varietà agricola che fino agli anni ’40 era considerata una sorta di “oro verde”, ma che con l’avvento della norme antidroga ha iniziato a essere demonizzata, pur non essendo mai vietata, per il semplice fatto di essere associata alla “sorella” Indica.
La normativa del 2016 ha portato a una vera e propria rinascita del settore agricolo della canapa, tanto che secondo Coldiretti se ne stimano circa quattromila ettari coltivati in Italia, con centinaia di nuove aziende, anche in Piemonte, dove la Sativa ha una lunga tradizione, soprattutto nell’area di Carmagnola. È chiaro che, se i prodotti verranno vietati, sarà tutto il settore a risentirne. Proprio Coldiretti ha sollevato timori a seguito della sentenza, «dal momento che oggi la Sativa viene utilizzata in moltissimi modi, dalla bioedilizia all’olio antinfiammatorio. Oggi c’è una diffusa consapevolezza internazionale delle opportunità che possono derivare da questa coltura: è pertanto necessario l’intervento del Parlamento», ha commentato il presidente nazionale Ettore Prandini. Tutt’altra reazione hanno avuto alcuni partiti, dalla Lega a Fratelli d’Italia, che in Piemonte chiedono già «la chiusura dei 55 cannabis shop presenti e il sequestro dei prodotti», come ha annunciato in una nota la parlamentare Augusta Montaruli. Dal canto loro, i venditori hanno risposto in diversi modi: c’è chi ha già ritirato le teche con i prodotti e chi invece continua a venderli, «perché la situazione rimane incerta e nessuno può considerare la nostra attività illegale: è necessario un intervento legislativo mirato, ma abbiamo poca speranza, visto il clima politico attuale», come commenta un negoziante del Cuneese.

f.p. 

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