Roberto Ponzio: «È un errore definire “d’Alba” tutti i tartufi bianchi»

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L’OPINIONE  L’avvocato Roberto Ponzio contesta la nuova legge ora in esame alla Camera
«Si punta ad approvare una legge in cui si dice che il tartufo bianco è di Alba o di Acqualagna, non importa se arrivi da Alba, dal Roero o dal resto d’Italia. Un po’ come se una legge permettesse di chiamare la crema spalmabile Nutella e tutti dal giorno successivo producessero Nutella». L’avvocato Roberto Ponzio propone un punto di vista diverso da chi, come il sindaco di Alba Carlo Bo e il direttore del Centro studi tartufo Mauro Carbone, aveva salutato come una grande vittoria l’introduzione della denominazione Bianco d’Alba nella nuova legge sul tartufo in discussione in questi giorni nella commissione agricoltura della Camera.

«È un errore definire “d’Alba” tutti i tartufi»
L’avvocato Roberto Ponzio.

Ponzio ricorda l’esempio della legge sulle nocciole che permetteva, prima dell’annullamento da parte del Tar del Lazio, di utilizzare il toponimo Langhe in tutta Italia con la possibilità di produrre nocciole delle Langhe in Puglia o in Sardegna.

L’avvocato albese precisa: «La sciagurata decisione del Ministero comportava evidenti ricadute negative per il nostro territorio: l’inserimento della Tonda gentile Langhe penalizzava i produttori piemontesi, che vedevano irrimediabilmente compromesso il lavoro di qualificazione territoriale connesso alla coltivazione della nocciola».

«Uno scenario simile a quanto accaduto per le nocciole si sta verificando per il tartufo», affonda Ponzio, che aggiunge: «Nell’ottica di tutelare i consumatori l’Unione europea, con un regolamento del 2011 (entrato in vigore in Italia nel 2014), ha introdotto l’obbligo di non fornire indicazioni sugli alimenti che possano essere fuorvianti per i consumatori circa la provenienza del Paese d’origine. In questo panorama legislativo il Ministero delle politiche agricole ha proposto di modificare la legge che disciplina la coltivazione e il commercio dei tartufi, eliminando la dicitura tartufo bianco d’Alba, quale nome per identificare il tuber magnatum Pico, e poi reintroducendola».

Bisognerebbe puntare su marchi collettivi locali

La decisione ha creato due scuole di pensiero, una chiede di mantenere la denominazione commerciale tartufo d’Alba ancorché riferibile a tutti i tuber magnatum Pico di origine italiana.

Ponzio la pensa diversamente: «Dall’altro lato c’è chi, invece, teme legittimamente che, se si volgarizza il nome “d’Alba”, si arriverà al paradosso che si è cercato di contrastare per le nocciole, dove si era liberalizzato indistintamente per tutte le regioni d’Italia la possibilità di utilizzare la denominazione di varietà Langhe. Se si introduce la denominazione commerciale tartufo d’Alba, si arriverà alla conclusione che qualunque tuber magnatum Pico cavato in altri paesi potrebbe fregiarsi commercialmente della denominazione Bianco d’Alba».

Secondo l’avvocato albese ogni venditore, a prescindere dal luogo di raccolta, potrebbe legalmente usare il toponimo “d’Alba” e dunque ridurre l’immagine e il marchio di Alba. Chiosa Ponzio: «Bisognerebbe evitare la “volgarizzazione” del nome e consentire al nostro territorio, che di fatto è l’unico legittimato a fregiarsi del nome tartufo d’Alba, di sviluppare politiche di marketing facendo leva sull’autenticità del prodotto in modo che il nostro tartufo bianco diventi un valore aggiunto. Bisognerebbe lavorare sulla creazione di marchi collettivi locali, come è stato fatto dal Comune di Santo Stefano Roero che ha recentemente registrato presso il Ministero per lo sviluppo economico il marchio Tartufaia naturale delle Rocche del Roero, proprio per valorizzare il tartufo del suo territorio».

m.p.

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