
«Stiamo parlando di un terremoto di energia ridotta; il boato e le vibrazioni sono l’elemento percepito, la scossa non ha, per fortuna, la capacità di generare danni, almeno per quanto riguarda gli edifici recenti, mentre in quelli antichi potrebbe originare qualche crepa». Abbiamo chiesto al geologo montatese Matteo Calorio di “leggere” il dato relativo al terremoto di magnitudo 3,1 che stamane, domenica 19 gennaio, è stato registrato dai sismografi in un’area di confine fra i comuni di Neive e Barbaresco, nelle Langhe . «L’areale nel quale le scosse sono state avvertite non supera, in casi analoghi, il raggio di 50 chilometri, una regione grossomodo equivalente a quella che comprende i Comuni di Langhe, Roero e Astigiano», prosegue l’esperto, autore di studi di geologia applicata alla produzione vinicola.
Sull’epicentro aggiunge: «Una profondità dell’epicentro di 12 chilometri come quella registrata ci colloca al livello del basamento alpino, al di sotto del Bacino Terziario Piemontese al quale appartengono le Langhe. In linea generale i sismi producono danni maggiori col diminuire della profondità dell’ipocentro, in questo caso parliamo di una profondità elevata che ci mette di fronte a limiti anche per le capacità conoscitive».
Un fattore di differenziazione è rappresentato dalla conformazione collinare del suolo capace di influire sulla percezione del fenomeno. «Uno substrato di roccia compatta reagisce alle sollecitazioni in maniera diversa rispetto a un deposito alluvionale qualitativamente più “scadente”». In pratica gli strati di arenarie e rocce marnose delle colline delle Langhe possono fungere da cuscinetto ammortizzando l’impatto delle scosse. «Edifici collocati nella parte pianeggiante, di origine alluvionale, a Neive bassa probabilmente hanno avvertito in misura maggiore il sisma rispetto a quelli di Neive alta collocati sulla sommità della vetta», conclude Calorio.
Davide Gallesio
