GIOVANI Secondo i dati del Dossier socioeconomico della fondazione Cassa di risparmio di Cuneo, ripresi da Ires (Istituto per gli studi economici e sociali) Piemonte, gli early school leavers (Esl), ovvero i giovani fino a 24 anni che hanno la sola licenza media, nel 2018 erano in Piemonte il 13,6% del totale. Un valore dimezzato rispetto al 2004, ma che è peggiorato, dopo un miglioramento, per il secondo anno consecutivo, mentre l’obiettivo dell’Unione europea è portare il tasso di abbandono scolastico al di sotto del 10% entro il 2020.
Il dato del Piemonte, pure elevato, si colloca però al di sotto della media italiana di quasi un punto percentuale. Il fenomeno interessa in misura maggiore i maschi (15,6%) rispetto alle femmine (11,5%), ma per queste ultime si segnala negli ultimi anni una marcata retrocessione, con un valore quasi raddoppiato in 24 mesi: nel 2016 si attestava infatti sul 6,4%. Una disuguaglianza di genere che aumenta, dunque, e rischia di minare l’equità sociale nelle sue fondamenta, perché espone il già svantaggiato mondo femminile – pensiamo alle opportunità lavorative o ai pregiudizi ancora circolanti – a ulteriori disparità.
Come si colloca la provincia di Cuneo in questo scenario? Si stima che nel biennio 2017-2018 gli Esl siano saliti al 16%, in crescita di 5,4 punti rispetto al 2015-2016 (10,6%): è il risultato peggiore nella classifica regionale. Le motivazioni dietro a questo fenomeno sono molteplici e testimoniano come istruzione e cultura, in un’epoca fortemente connotata dal mito dell’efficienza e della produttività, possano venire sacrificate in nome di più immediati risultati.
Il dato cuneese è indicativo anche se confrontato in linea temporale: tra il 2012 e il 2016 la Granda mostrava un migliore andamento, con circa 6 punti in meno in tema di abbandono scolastico, al di sotto della media piemontese. Ad Alba, però, nel 2011, gli Esl erano quantificati intorno al 12,6%: non esistono dati aggiornati, ma è possibile notare come la percentuale si attestasse già su un livello vicino a quella che oggi è la media regionale. Di recente il progetto Below 10 – che vede tra i partner la fondazione Cassa di risparmio di Cuneo – ha portato alla sottoscrizione di una proposta di piano integrato di lotta alla dispersione scolastica a livello provinciale.
Digital divide, solo uno su tre ha accesso alla banda ultralarga
Secondo gli ultimi dati comunicati dalla Confartigianato Piemonte, in provincia di Cuneo solo il 34,5% delle famiglie ha accesso alla banda ultralarga.
In Piemonte la percentuale arriva al 57,6. Inoltre, l’Istat spiega che a livello nazionale negli anni 2018- 2019 il 33,8% delle famiglie non aveva un computer o un tablet in casa, il 47,2% ne aveva uno e il 18,6% due o più. Se indaghiamo la situazione delle persone over 65 anni, vediamo come la percentuale di chi non possiede strumenti per la connessione superi invece il 70%.
Il livello di istruzione sembra giocare un ruolo importante: nelle famiglie con titoli di studio più elevati (almeno un membro del nucleo con la laurea), il numero di chi non ha un computer si ridimensiona di 10 volte, attestandosi al 7,7%.
Queste cifre illuminano il silenzioso operare del cosiddetto divario digitale: le possibilità di lavorare in smart working, da casa, di essere aggiornati su quanto accade nel mondo, di disporre di fonti di intrattenimento durante una quarantena non sono uguali per tutti. Molti nuclei familiari risultano ancora marginalizzati su questo fronte.
Di fatto vivono un altro tempo, fatto di maggiore lentezza. Le condizioni sociali, psicologiche e ovviamente economiche di questo divario si manifestano a cascata su diversi livelli della vita privata, ma anche occupazionale.
Coronavirus, la didattica a distanza e la mancanza di contatto fisico con insegnanti e compagni può penalizzare di più gli studenti fragili
La disuguaglianza sociale può oggi assumere forme eterogenee e molto variegate. Una di queste è l’abbandono scolastico, fenomeno che interessa numerosi ragazzi e ragazze che si ritrovano ad abitare con la sola licenza media in un mondo sempre più competitivo ed escludente. Sono le famiglie meno abbienti anche dal punto di vista socioeconomico a patire gli effetti della dispersione scolastica – così si chiama il fenomeno – in misura maggiore. A sua volta, la rottura del rapporto tra i ragazzi e il loro percorso di studi rischia di acuire la sofferenza familiare.
Secondo una ricerca pubblicata dal portale Openpolis a fine aprile, l’Italia è uno dei Paesi europei più colpiti dall’abbandono scolastico, con il 14,5% dei giovani tra i 18 e i 24 anni con solo la licenza media in mano. Il Piemonte si presenta con il 13,6%, un andamento migliore ma ancora problematico: significa che un ragazzo su sette non ottiene il diploma superiore. Sebbene non esistano dati precisi, è ipotizzabile che l’occupazione sia molto meno qualificata laddove l’abbandono scolastico è maggiore. Senza titolo di studio è difficile trovare una buona collocazione occupazionale, a prescindere dalle competenze maturate.
La crisi Covid-19 rischia di peggiorare questi circoli viziosi. Secondo i dati comunicati da Save the children ad aprile, la didattica a distanza e la mancanza di contatto fisico con insegnanti e compagni possono aver penalizzato i nuclei familiari già più fragili.
Nei contesti più vulnerabili il 46% delle persone si è ritrovato a casa senza un computer o un tablet e il 51% senza l’accesso a Internet. Inoltre, la didattica a distanza durante la quarantena avrebbe peggiorato la qualità formativa, dato che quasi la metà degli insegnanti (48%) non aveva ricevuto alcun training formale sull’uso delle nuove tecnologie e solo poco più di 1 su 3 (il 36%) si sentiva adeguato nell’utilizzo dei nuovi strumenti.
Matteo Viberti