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La storia dell’ospedale di Verduno, intitolato a Pietro e Michele Ferrero

Riepiloghiamo – attingendo ai nostri archivi – la lunga storia del nosocomio intitolato a Michele e Pietro: oggi è la struttura sanitaria dell’Asl Cn2 e dobbiamo esigere che ne sia all’altezza

Il Ferrero ora diventi ospedale di Alba-Bra

LA VICENDA L’ospedale di Verduno è aperto. Alba e Bra hanno il loro nosocomio unico, atteso, agognato, inseguito, criticato e spesso rinnegato. Lunedì 11 maggio l’apertura ufficiale, senza inaugurazione, ma con tanta emozione da parte dei sanitari che per oltre vent’anni hanno immaginato la struttura e oggi vi possono accedere e lavorare.

«Ma quanto è grande?», è il commento più gettonato per un gigante da 11 piani, più di 100mila metri quadrati, nato per 550 posti, poi ridotti a 350. Come riempire gli spazi lasciati vuoti dalla riorganizzazione regionale sarà la grande sfida dei prossimi anni.

Perché costruire un unico ospedale per Alba e Bra? La risposta è emersa nei due incontri organizzati da Gazzetta d’Alba per presentare il primo numero di gennaio, dedicato interamente alla struttura sanitaria. Il promotore del comitato Nuovo ospedale, il primario di nefrologia e dialisi Giusto Viglino: «L’idea dell’ospedale unico divenne concreta dal 1994 con la nascita del comitato da una costola dell’associazione Nefron, composta da medici e infermieri dell’Asl Cn2. In quegli anni si parlava di riforma degli ospedali. Per Alba e Bra, con strutture vecchie e obsolete, il rischio concreto era di perdere il pronto soccorso. Il comitato nacque per non rischiare di vederlo morire. Piuttosto che avere due ospedali vecchi di serie C era meglio averne uno moderno e innovativo di serie A».

La scelta del luogo non dipese dal comitato; fu una decisione politica, ma il sito doveva sorgere a 300 metri di distanza dallo svincolo di uscita dell’Asti-Cuneo e quindi a dieci minuti di una strada a quattro corsie da Alba e Bra. Piana Biglini, Cinzano e altre aree del fondovalle erano di più facile accesso, ma vennero scartate dopo l’alluvione del 1994. Il responsabile del progetto Ferruccio Bianco ha spiegato a Gazzetta d’Alba: «Erano aree a cui si guardava, dopo il ’94, con paura, per via degli allagamenti; non stavamo progettando un supermercato, ma un ospedale che prevedeva ben tre piani sotto il livello del terreno». Si optò, quindi, per cascina Pradonio: l’istituto di ricerca Cresa eseguì lo studio di fattibilità che venne approvato dall’assemblea dei sindaci nel 1995.

I sindaci di Alba Enzo Demaria e di Bra Franco Guida diedero mandato al direttore generale dell’Asl (ruolo in cui tra il 1994 e il 1998 si alternano Giovanni Monchiero, Francesco Morabito e Silvio Beoletto) di acquistare i terreni. Tra il 1995 e il 1997, la Regione Piemonte stanziò i primi contributi per la progettazione. Nel 1999 si approvò il progetto preliminare, nel 2001 il definitivo e nel 2004 finalmente l’esecutivo.

In questa fase l’Asl Cn2 di Alba-Bra stanziò 3,6 milioni di euro per l’acquisto dei terreni e della cascina Pradonio da oltre 57 agricoltori e in parte minima (il dieci per cento) dalla diocesi di Alba.

Il geologo Orlando Costagli venne incaricato di certificare il luogo: «Mi rifiutai. Posso forse cambiare le carte dell’Autorità di bacino, dove l’area è segnata in dissesto?». Lui no, ma la palla passò alla Regione e sulle carte ufficiali le frane scomparvero. Più che la scelta del luogo fu però la scelta del project financing a condizionare i rallentamenti. La Regione non disponeva della somma necessaria. Il gruppo Maire Tecnimont vinse la gara, impegnandosi a cofinanziare 15 milioni di opere (diventeranno poi 17,5), in cambio del diritto di gestione per 20 anni di alcuni servizi non sanitari. I lavori vennero appaltati alla Matarrese di Bari (costruzione), alla Olicar di Bra (impiantistica) e alla Sermeca (realizzazione facciate).

Si partì nel dicembre 2005, con i primi scavi; emersero le prime difficoltà e, per dare stabilità alla struttura, servì realizzare oltre mille tra pozzi strutturali e pali in cemento.

Nel 2008 si partì con la costruzione della struttura. Tre anni di lavori a rilento fino all’autunno 2011, quando il flusso di denaro dalla Regione s’interruppe a causa delle prime ristrettezze che porteranno il Piemonte sull’orlo del baratro, con il piano di rientro che bloccò la sanità.

Quella che doveva essere un’opera redditizia divenne una voragine che contribuì a portare al fallimento la Olicar e sull’orlo del burrone la Matarrese, la più importante azienda edile del Sud. Nel 2015, grazie alla fondazione Nuovo ospedale – esempio virtuoso e unico di collaborazione tra privato e pubblico – e ai riflettori mantenuti accesi dall’inizio alla fine da Gazzetta d’Alba, ripartì il cantiere. Tra accelerazioni e rallentamenti si arriva così al 21 settembre 2019 quando i lavori vengono dichiarati conclusi: il 20 novembre l’ospedale è stato consegnato, dopo le rifiniture.

Il resto più che storia è cronaca, con lo stravolgimento legato al Covid-19, l’accelerata all’apertura, l’allestimento del piano terra, che sarà il cuore dell’ospedale. Dopo un mese, con l’allentarsi dell’emergenza coronavirus, la Regione svincola il nosocomio per consegnarlo definitivamente all’Asl Cn2. Trasferire completamente due strutture in una non sarà banale, ma finalmente ci siamo, ora comincia la nuova sfida: fare in modo che l’ospedale di Verduno, quello che per molti è ancora il “mostro” sulla collina, diventi il Michele e Pietro Ferrero. Anche questo non sarà banale.

Marcello Pasquero

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