«Sulle mascherine normative che sono a dir poco confuse»

«Sulle mascherine normative che sono a dir poco confuse»

DIRITTO  «Il contesto legislativo in cui ci troviamo è, a dir poco, confusionario, e sarebbe auspicabile che, nonostante il periodo di emergenza e la necessità di farvi fronte velocemente, non si perdessero di vista altri valori altrettanto importanti, quali quelli sanciti nella nostra Costituzione»: a parlare è Alberto Rizzo, avvocato cassazionista e direttore generale dell’Accademia di educazione finanziaria, che di recente ha pubblicato un articolo sulla rivista di giurisprudenza Il caso sul tema delle mascherine.

Qual è il problema al centro della sua analisi?

«Senza voler scendere nel merito della funzionalità tecnica di questi dispositivi, ci si può chiedere se i regolamenti regionali e ministeriali che impongono alla popolazione di indossare le mascherine siano davvero del tutto legittimi. A oggi, l’utilizzo in Piemonte è previsto dal decreto del 2 maggio 2020, n. 50, il quale prevede l’obbligo per tutti i cittadini di utilizzare protezioni delle vie respiratorie nei luoghi chiusi accessibili al pubblico, inclusi i mezzi di trasporto, e comunque in tutte le occasioni in cui non sia possibile garantire continuamente il mantenimento della distanza di sicurezza. Eppure, in questo contesto di “iper-legificazione” c’è un elemento che pare essere stato completamente dimenticato: il precetto penale. Infatti, nell’ordinamento italiano esistono ancora delle norme, di carattere penale, che vietano di comparire mascherati o comunque travisati in un luogo pubblico senza giustificato motivo. In particolare, sono due le norme fondamentali che impongono tali restrizioni: una è l’articolo 85 del Testo unico di legge sulla pubblica sicurezza e l’altra, un po’ più dettagliata, è l’articolo 5 della legge n. 152 del 22 maggio 1975».

Quindi sarebbe vietato restare mascherati in un luogo pubblico?

«Pare opportuno chiedersi se effettivamente le ragioni che stanno alla base dell’obbligo imposto siano valutabili come un “giusto motivo”, tale da scriminare quel comportamento che, altrimenti, avrebbe indubbiamente rilevanza penale. A tale proposito, è ormai pacifico che il virus si trasmetta tramite un contatto stretto con una persona infetta. È lo stesso Ministero della salute che, nella pagina Web appositamente dedicata a fornire chiarimenti, scrive: “Il nuovo coronavirus è un virus respiratorio che si diffonde principalmente attraverso il contatto stretto con una persona malata. La via primaria sono le goccioline del respiro delle persone infette”. Non si tratta, quindi, di un virus che aleggia libero nell’aria e, d’altronde, a oggi non ci sono protocolli sanitari che chiariscono come l’uso delle mascherine in luoghi aperti e non affollati sia funzionale a prevenire la diffusione del contagio. Parrebbe, quindi, che indossare la mascherina in luoghi aperti non possa essere in alcun modo un “giustificato motivo”. Ebbene, basta dare uno sguardo alle strade di qualunque città d’Italia per rendersi conto di quanti cittadini, certamente convinti di fare una cosa buona e giusta, circolano indossando una mascherina. A questo punto, dovremmo chiederci per quale motivo tutti i pubblici ufficiali in servizio, che constatano la presenza di persone dotate di mascherine in luogo pubblico, non abbiano segnalato all’autorità giudiziaria tali notizie di reato».

Ma esistono regolamenti e decreti che impongono l’uso della mascherina.

«Posto che in molti riterrebbero l’utilizzo delle mascherine un “giustificato motivo”, idoneo a scongiurare un eventuale contrasto con i precetti penali sopra riportati, ciò non toglie che gli obblighi imposti alla popolazione siano stati precettati esclusivamente da ordinanze e decreti regionali, ovvero decreti ministeriali. Tuttavia, uno dei princìpi cardine del nostro ordinamento è quello della gerarchia tra le fonti del diritto: esse non sono tutte di pari grado, bensì assumono importanza differente. Ciò comporta, quindi, che giammai un regolamento potrebbe imporre un precetto che sia in contrasto con quello di una legge ordinaria (quale è quella penale); in tal caso, ben lungi dall’essere rispettato, sarebbe proprio il regolamento a dover essere disapplicato».

Dunque il problema sta nella qualità delle norme?

«Una situazione di emergenza non può giustificare una confusione normativa che metta in discussione gli elementi fondanti della nostra Costituzione e del nostro diritto».

d.l.

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