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Maturità 2020, le riflessioni di una professoressa

Esame di maturità. Immagine di repertorio
Immagine di repertorio

LETTERA AL GIORNALE Cari maturandi della quinta D geometri di Alba – ma, in generale, cari maturandi tutti – mercoledì inizierà la kermesse finale che vi condurrà alla conquista del sospirato diploma. Per la prima volta a mia memoria, e sono ormai un’anziana signora, sarà un mercoledì d’esame orfano della prima prova scritta, quella d’Italiano.

Fino allo scorso anno era tutto un susseguirsi di inquietudini previsionali e di scommesse sconsiderate, nelle quali il verbo uscire faceva un figurone per numero di presenze nella concitazione dei discorsi.

«L’anno scorso è uscito un poeta, quest’anno uscirà un testo di narrativa», «È l’anniversario di nascita o di morte di qualcuno? Ricordarsi di chiedere al secchione della classe», «Pirandello non esce da cinque anni, quindi è la volta buona… Me lo sento nelle ossa che uscirà e non ci ho capito niente». Tutto così, dagli ultimi giorni di maggio in poi.

Quest’anno, niente angosce esistenziali di questo tipo. Non per la prova scritta d’italiano, né per la seconda prova scritta, anch’essa latitante. Mercoledì inizierà direttamente l’orale. In maschera. A due metri di distanza dal primo essere umano utile alla bisogna. Circostanza, quest’ultima, non disprezzabile poiché, in fin dei conti, tutto questo starsi vicini non è mai stato indispensabile né particolarmente igienico, come il bieco ma premuroso virus si è incaricato di ricordarci con una certa energia assertiva.

Sarete igienizzati da capo a piedi, come mai in vita vostra, voi tutti, i banchi, e le suppellettili didattiche, e abbasserete la mascherina solo per rispondere alle domande. Se non conoscerete le risposte, potrete tenere la mascherina davanti alla bocca e questo gesto vi guadagnerà la benevolenza della commissione tutta, che tornerà incontaminata ai propri cari.

Stupisco al cospetto di accorati commenti di illustri intellettuali che, memori delle nottate spese sui libri nell’imminenza dei loro esami, lamentano la mancanza di ricordi di maceranti tormenti che dovrebbe amareggiare la vostra intera esistenza. Balle, mi si conceda il francesismo. La vostra è l’unica generazione di studenti che abbia vissuto il secondo quadrimestre in Dda (didattica a distanza) e che vivrà l’esame di Stato in maschera, in distanziamento sociale, e in sana e profumata pulizia.

Quando mai vi è capitato, nella vita, e quando ricapiterà più a qualcun altro? Ne avrete di cose da raccontare ai vostri nipotini, nelle lunghe e fredde serate invernali, davanti al caminetto crepitante di ciocchi incandescenti! I bimbetti spalancheranno i loro occhioni increduli al suono delle parole evocatrici di gesta epiche e, ancorché ammutoliti dallo stupore, vi individueranno seduta stante come i cavalieri senza macchia né paura che sostennero gli esami, e si diplomarono pure, ai tempi eroici del coronavirus.

Sursum corda, cari, benediximus vobisque.

La vostra ex-prof Maria Antonietta Panizza, ora in pensione

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